Boni assediato: «Si dimetta» E la Lega non trova la quadra

Boni assediato: «Si dimetta» E la Lega non trova la quadra

Il prevedibile assedio dall’esterno a Davide Boni, il presidente leghista del consiglio regionale indagato per tengenti. Ma il Carroccio che (soprattutto qui in Lombardia) fa quadrato. A cominciare da Umberto Bossi. «Tu ti dimetti quando lo dico io», ha sentenziato ieri pomeriggio nel faccia a faccia con Boni in via Bellerio. Niente dimissioni, dunque, nell’antipasto del vertice di oggi a cui parteciperanno anche i due Roberti, Maroni e Calderoli.
«Boni non si tocca e non si tocca la Lega». I colonnelli ieri hanno scelto ancora una volta la rete per affrontare il momento più difficile della loro storia politica. E a metà pomeriggio, nel suo profilo Facebook, arrivano le barricate di Maroni. Tutti pronti alla difesa. E gli attacchi interni arrivano da più lontano. Dal Veneto, dove il leder Giampaolo Gobbo, ne approfitta per regolare conti in sospeso. «Dovrebbe dimettersi, io lo farei». Una voce ancora isolata. Anche se non c’è dubbio che, proprio qui in Lombardia, più di uno sia pronto a chiedere la testa di Boni che, dopo gli esordi sulla scia di Calderoli, ora si era avvicinato ai maroniani «barbari sognanti». Con Matteo Salvini pronto a twittare un «ci troviamo di fronte a un’indagine. Lasciamo lavorare i magistrati. Io penso che le accuse siano infondate». Non solo. «Conosco le due persone e quindi penso e spero che possano smontare tutte le accuse, che accuse rimangono».
Dalla Regione parla il vice presidente Andrea Gibelli. «Attendiamo da lui risposte convincenti - le sue parole -, poi la Lega prenderà delle decisioni». E subito la difesa del Carroccio. «Mi auguro che il prima possibile possa cadere questo castello che è stato montato e che è seriamente preoccupante». Ma «ciò che viene contestato è strettamente locale e, su questo, la Lega non ammetterà tentennamenti». Perché sono ormai in tanti, soprattutto tra i militanti, ad avere ormai un quadro più chiaro della situazione. Con una Lega considerata un partito ricco e dunque non bisognoso di ulteriori «sponsorizzazioni». Soprattutto illegali. Ma il sospetto dell’Indipendenza, il quotidiano on line diretto da un antico conoscitore di cose leghiste come Gianluca Marchi, è di «un’inchiesta che coinvolge Boni e sembra puntare su un “sistema Lega” che sul territorio non sarebbe affatto indenne da tangenti e corruzione». Difende Boni anche l’assessore Monica Rizzi: «Ho detto sempre che vige la presunzione di innocenza: lasciamo lavorare la magistratura». Poi fa catenaccio. «Posso solo dire che soldi nelle casse della Lega non ne sono mai entrati». Perché ormai il vero nodo della faccenda, se e soprattutto quando i pagamenti fossero dimostrato dai magistrati della procura di Milano, sarà capire se le tangenti finissero nelle tasche di Boni o nella cassaforte del partito.
«Ora è toccato a Boni - attacca il capogruppo alla Camera Giampaolo Dozzo -, ma prima c’è stato il caso del nostro deputato Gianluca Pini che presentò un emendamento sull’introduzione della responsabilità civile dei giudici e venne raggiunto da un avviso di garanzia dopo appena una settimana. Noto una coincidenza temporale». Complotto? «Registro solo questa tempistica dei magistrati». Mentre non vuol parlare di persecuzione l’europarlamentare Francesco Speroni. «Bisogna vedere se le accuse sono fondate o no. Ricordo il caso Brigandì che è stato messo in prigione e poi è stato pienamente assolto. Comunque non penso che ci sia un collegamento con il fatto che la Lega è all’opposizione. Bisogna prima vedere bene le carte».

Oltremodo velenoso, invece, un ex come Giancarlo Pagliarini: «La questione morale non c’è, ma quella politica è sotto gli occhi di tutti. E i dirigenti della Lega devono prenderne atto». Bossi? «È ora che si riposi un po’ a casa sua».

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