Cambia l'accusa a Maroni: «Voleva vendicarsi su Expo»

La Procura: la sua collaboratrice favorita dopo le pressioni del governatore Il direttore generale della società accettò per non mettere a rischio l'Esposizione

Cambia l'accusa a Maroni: «Voleva vendicarsi su Expo»

Non fu il desiderio di carriera a spingere Christian Malangone, direttore generale di Expo, a accettare la «richiesta» di Bobo Maroni di inserire anche la sua collaboratrice Maria Grazia Paturzo nella missione a Tokio. Arrivata alle battute conclusive, l'inchiesta della procura della Repubblica sul presidente della Regione Lombardia deve registrare un significativo mutamento di rotta. Il cuore dell'inchiesta resta sempre lo stesso: il viaggio che la delegazione capitanata da Maroni avrebbe dovuto compiere in Giappone all'inizio dello scorso luglio. Ma cambia radicalmente il movente. Il manager di Expo che accettò di mettere in lista la Paturzo avrebbe agito non per interesse personale, ma unicamente per il bene di Expo stessa: per evitare, cioè, che in un momento assai delicato i rapporti tra i vertici della Regione e la macchina organizzativa dell'esposizione universale venissero turbati da un incidente diplomatico.

Ciò nonostante, Malangone resta indagato per avere subito le pressioni di Maroni, e Maroni resta indagato per avere premuto. Anzi, la ipotesi che Maroni potesse «vendicarsi» su Expo se la sua richiesta non fosse stata accolta rende per la Procura ancor più inaccettabile il suo comportamento. Il fatto che poi il governatore abbia rinunciato al viaggio, dirottando sulla più vicina Berna, secondo la Procura non conta. E in questi giorni Fusco sta lavorando con l'obiettivo di chiedere entro il 28 ottobre il rinvio a giudizio immediato del presidente della Regione. L'accusa è di concussione per induzione, un reato che in caso di condanna in primo grado porterebbe alla immediata sospensione di Maroni dalla carica.

Per chiudere il quadro, però, alla Procura mancano ancora alcuni passaggi. Non c'è solo il problema del movente di Malangone. C'è anche da ricostruire nei dettagli le giornate cruciali del 28 e 29 giugno, quando Maroni e il suo staff rinunciarono al viaggio. Perché? Non fu, come si era detto in un primo momento, una conseguenza del veto di Giuseppe Sala, commissario straordinario di Expo. E allora? Certamente furono giorni convulsi, segnati da mille problemi: tra cui la difficoltà di piazzare la Paturzo in business class con Maroni, la portavoce Isabella Votino e il resto dello staff, mentre per contratto la Paturzo aveva diritto solo al posto in classe turistica. Alcune testimonianze dicono che nè la Paturzo nè Maroni fossero disponibili ad accettare che la donna viaggiasse tra i comuni mortali. Ma a fare saltare tutto fu qualcosaltro. E indicare con certezza quale fu l'inghippo è essenziale per la Procura per portare le carte al giudice preliminare sostenendo che la prova del reato è «evidente», e chiedere così il giudizio immediato.

Se il gip accogliesse la richiesta, Maroni si potrebbe trovare sotto processo all'inizio del prossimo anno, e non sarebbe un processo lungo. E lo scenario di un governatore sloggiato dalla carica per via giudiziaria - riedizione in salsa milanese di quanto accaduto a Napoli al sindaco Luigi De Magistris - viene nuovamente evocato ieri dal consigliere regionale del 5 Stelle Stefano Buffagni, che ha diffuso un fotomontaggio con Maroni portato via dai carabinieri e la scritta «Caramba che sorpresa».

Anche per evitare una simile evenienza, Maroni potrebbe decidere di rompere gli indugi e chiedere di essere interrogato in modo da fornire la sua versione sia sul viaggio a Tokio che sull'altro episodio sotto accusa, l'assunzione della Paturzo e di un'altra del suo staff in società dell'orbita regionale.

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