Non si sa quanto Brera voglia James Bradburne, ma di certo James Bradburne ha voluto molto Brera. Il 59enne museologo e manager culturale, nato in Canada ma di cittadinanza britannica, studi in architettura a Londra e in museologia ad Amsterdam e Los Angeles, aveva messo proprio la Pinacoteca milanese in cima alla lista delle sue scelte quando ha partecipato al bando internazionale del ministero dei Beni culturali.
È lui uno dei sette volti stranieri chiamati da oggi a essere supermanager dei tesori italiani, mentre lo storico dell'arte austriaco Peter Assmann dirigerà il Palazzo Ducale di Mantova, l'altra Soprintendenza lombarda (che copre anche le province di Brescia e Cremona).
Sul da farsi Bradburne mostra di avere le idee chiare: «La grande sfida è valorizzare in modo diverso le collezioni», che ultimamente «sono state un po' oscurate da mostre blockbuster», ha detto subito, fresco di nomina.
L'esperienza non gli manca: dal 1994 al 1998 è stato responsabile per il design, la formazione e la programmazione al New Metropolis Science and Technology Centre di Amsterdam, dall'anno successivo fino al 2002 ha diretto il M useum für Angewandte Kunstdi di Francoforte, poi dal 2003 è stato per tre anni al vertice della Next generation Foundation in Inghilterra. In Italia ha diretto la Fondazione Palazzo Strozzi a Firenze. Poi le tante pubblicazioni, le docenze di museologia. Il curriculm c'è tutto. Eppure il mondo culturale milanese è spaccato su una nomina che da un lato sa di modernità, dall'altro lascia molti «tecnici» perplessi.
Perché Brera è più di un museo, è un mosaico in cui convivono da sempre la Pinacoteca e la Biblioteca Braidense (entrambi dipendono dal ministero dei Beni culturali), l'Accademia di Belle Arti, l'orto botanico e l'osservatorio astronomico (gestiti dall'Università), l'Accademia di Belle arti e infine l'Istituto di Lettere e Arte. Realtà in cui l'eterno progetto della Grande Brera dovrebbe rimettere ordine.
«Sarà certamente una svolta positiva nella tormentata storia del progetto della Grande Brera - ha detto Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario ai Beni culturali, ex presidente del Fai e milanese doc - non solo perché come storico dell'arte saprà raccogliere i tanti semi piantati da chi l'ha preceduto, ma anche perché, come ha già dimostrato nel suo percorso professionale, darà un contributo forte alla valorizzazione di una delle più importanti raccolte di opere d'arte del Paese». La chiave di volta è proprio sul senso della tanto attesa valorizzazione. Riguarda più il ruolo che la persona scelta, come spiega Sandra Sicoli, storica dell'arte che alla Soprintendenza ai beni artistici di Milano lavora da anni: «È giusto cambiare: il problema è il come. Si tende a vedere i funzionari della Soprintendenza come meri produttori di burocrazia che negano autorizzazioni, però certi tesori del nostro patrimonio vanno salvaguardati. Valorizzazione non può essere intesa solo come recupero di soldi, la priorità deve essere la conservazione per i posteri. Che non vuol dire per forza mettere sotto chiave certi luoghi, ma regolarne l'affluenza in base prima di tutto alle necessità di conservazione, e poi a quelle di marketing».
Sullo sfondo la convinzione che Brera sia, con le sue collezioni permanenti, una realtà molto diversa da un museo come Palazzo Strozzi. Critiche al metodo sono arrivate anche dallo storico dell'arte milanese Philippe Daverio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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