Il carcere intoccabile (e addio ai detenuti)

Il carcere intoccabile (e addio ai detenuti)

Ai tempi di Mani Pulite, quando i politici venivano arrestati finivano a San Vittore insieme ai detenuti comuni: così si rendevano conto di persona della qualità della vita nel carcere di piazza Filangieri. Adesso di politici in prigione ne finiscono assai pochi, e spesso ottengono destinazioni relativamente più confortevoli, come Opera e Bollate. Inevitabile così che la barbarie di San Vittore - perché di barbarie, oggettivamente, si tratta - non sia percepita dalla classe politica. Tante belle parole sulla rieducazione dei condannati, ma poi dell'unica misura concretamente efficace, la chiusura di San Vittore, non si parla più.
Anzi, adesso dal massimo responsabile dell'Urbanistica cittadina, il vicesindaco Lucia De Cesaris, arriva l'annuncio a chiare lettere: «Il carcere di San Vittore deve essere al centro della città». Cioè esattamente dove si trova adesso, perché faccia da monito ai milanesi su cosa succede a comportarsi male: «è un luogo che dà a tutti noi il senso che questo Stato ha regole e sanzioni», dice la De Cesaris ieri nel corso di un convegno presso il consiglio di zona 1. È la linea, un po' ideologica e non del tutto inedita, di San Vittore come luogo-simbolo la cui rimozione fisica dal centro cittadino equivarrebbe a una rimozione culturale.
Il vicesindaco ammette che le condizioni di detenzione dentro la «casanza» di viale Filangieri non siano ideali, e per questo insiste sulla necessità di stanziamenti pubblici per la sua ristrutturazione, «dobbiamo fare in modo - dice - che lo Stato metta tra le priorità l'esigenza di fare un investimento forte per il carcere di San Vittore». Ma non spiega quando e come San Vittore potrebbe cambiare volto. È vero che nel piano carceri del governo è stata inserita la ristrutturazione dei due raggi del carcere, il secondo e il quarto, chiusi da anni perché ormai inagibili. Ma in particolare per il secondo, che presenta cedimenti strutturali ed allagamenti delle fondamenta, è impossibile prevedere quanto si debba spendere per tornare a renderlo agibile.
Così intanto i millecento chiusi in gabbia a San Vittore resteranno a San Vittore, impilati l'uno sull'altro, chiusi in cella venti ore al giorno, per ricordare ai milanesi che «questo Stato ha regole e sanzioni». Certo, la De Cesaris aggiunge che «un detenuto è un cittadino come un altro, anche lui ha diritto al lavoro e diritto di essere reimmesso nella società».

Ma non dice che il diritto al lavoro per il 95 per cento degli ospiti di San Vittore è impraticabile, a differenza di quello che avviene a Bollate e che sarebbe avvenuto se San Vittore - a costi non molto più alti di quel che costerà ristrutturarlo - fosse stato spostato fuori dal centro.

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