Non è solo una vicenda politica, e non è solo una vicenda giudiziaria. L'affossamento dell'operazione Cerba da parte della giunta di Giuliano Pisapia - e in particolare dell'assessore all'Urbanistica Lucia De Cesaris - mette a nudo la fragilità di una operazione costruita da quelli che a Milano una volta venivano chiamati «poteri forti». E che ora rischiano di vedersi esplodere in mano una rogna dalle conseguenze incalcolabili.
Per capire quanto vasto fosse l'arco che stava dietro al progetto Cerba basta leggere l'elenco dei soci sostenitori della fondazione: Unicredit, Generali, Mediobanca, Pirelli, Telecom, Fondiaria Sai, il gruppo Rcs (ovvero Rizzoli - Corriere della Sera). E tra i «sostenitori» figurano lo Ieo di Umberto Veronesi, l'Università statale, e persino il Comune di Milano, lo stesso Comune che adesso azzera il progetto. Il problema è che una parte di questi soggetti sono ora avviluppati in un groviglio di interessi confliggenti, e non si capisce più chi agisce per l'interesse dei malati e della ricerca scientifica, chi per il proprio portafogli.
Tutto nasce, ovviamente, dal crac dell'impero di Salvatore Ligresti, che al progetto Cerba partecipava in doppia veste: membro della fondazione attraverso Fonsai, e proprietario dei terreni destinati a ospitare il centro, una landa desolata a est di via Ripamonti. Nel disastro dell'impero ligrestiano, sono rimasti invischiati altri due soci fondatori del Cerba: Unicredit, esposta per la bellezza di 141 milioni che si era fatta garantire (pensa un po') proprio con una ipoteca sull'area destinata al Cerba, ipoteca ora cancellata d'autorità dal tribunale fallimentare; e, in misura assai minore, lo Ieo di Veronesi, che dal gruppo di Ligresti avanza un credito comunque rilevante per le sue casse. Soldi che, se tutto va a gambe all'aria, lo Ieo rischia di non vedere mai più.
A essere pignoli, si potrebbe fare presente che anche il Comune di Milano avrebbe qualche motivo venale per non impedire il compimento dell'operazione: Palazzo Marino è infatti anch'esso creditore del fallimento di Imco (una delle due holding dell'Ingegnere) per circa sei milioni di euro, legati alla mancata cessione di alcuni terreni e agli oneri di urbanizzazione dell'ultima impresa edilizia di Ligresti, l'edificio di via de Castillia, all'Isola. Entrambi i crediti sono stati registrati come chirografari, ovvero crediti di serie B. Se salta tutto, addio ai sei milioni.
Il vero guaio però è quello che incombe su Unicredit se il naufragio dell'operazione Cerba affonderà l'intero piano di concordato fallimentare di Imco e dell'altra holding di Ligresti, Sinergia. Perché proprio intorno all'ipoteca accesa da Unicredit sui terreni di via Ripamonti ruota uno dei capitoli dell'inchiesta del pm Luigi Orsi. Ipotesi: bancarotta per dissipazione. Secondo quanto si apprende, la Procura ha iscritto nel registro degli indagati per il reato di bancarotta per dissipazione buona parte degli amministratori dell'epoca di Imco e Sinergia, e ci sono stati già avvisi di garanzia e interrogatori. Tutto nasce dal finanziamento che nel 2001 Bipop (poi assorbita da Unicredit) erogò a Sinergia per comprare 120 milioni di azioni della stessa Bipop.
Perchè Ligresti fece quell'operazione? Mistero. Di certo c'è che nel 2010 Imco subentrò nel debito, ed è a garanzia di questa esposizione che venne di fatto scippata, attraverso l'ipoteca, del suo maggior bene: l'area Cerba. Colpa solo dei manager di don Salvatore?
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