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"Chiudere le scuole non ferma il virus. E la Dad non protegge dal contagio"

Il primario di Pediatria (Buzzi): "Controlliamo chi ha anticorpi"

"Chiudere le scuole non ferma il virus. E la Dad non protegge dal contagio"

Gian Vincenzo Zuccotti, primario di Pediatria dell'ospedale Buzzi e preside della facoltà di Medicina alla Statale, si sta discutendo delle scuole viste come elemento di propagazione del contagio. Cosa ne pensa?

«L'anno scorso avevamo condotto uno studio scientifico sul ruolo delle scuole nella propagazione del contagio da cui era emerso che non sono un amplificatore della pandemia, ma al contrario riflettono quello che avviene nelle società. Eravamo andati a vedere i tassi di sieroconversione tra bambini che erano in Dad e bambini che continuavano a frequentare e non avevamo trovato nessuna differenza significativa».

In conclusione?

«La dad non era protettiva nei confronti del contagio perché il virus stava circolando e anche chi non andava a scuola si contagiava lo stesso».

A scuola i bimbi hanno le mascherine, mantengono il distanziamento, c'è la mensa come in un qualsiasi ristorante.

«Esattamente quello che dimostravamo nel nostro studio: non ci si ammala a scuola. Per i ragazzini i mezzi di trasporto potevano essere veicolo di contagio, ma adesso le norme sono molto più stringenti. Questo accanimento sulla scuola è ingiustificato».

L'85 per cento del personale scolastico risulta vaccinato, gli studenti tra i 12 e i 19 anni al 79,4 per cento, i bambini delle elementari al 24 per cento. Perchè questo allarme?

«Purtroppo si è passati dall'inizio della pandemia in cui i bambini erano considerati immuni al contagio alla posizione opposta, che li vede come untori. Dopo 4 ondate pandemiche e tutte le varianti i bambini continuano ad avere un comportamento rassicurante dal punto di vista clinico. Non è chiudendo le scuole che si ferma il virus. La preoccupazione è che il contagio vada a colpire quella percentuale elevata di non vaccinati, che stanno mettendo gli ospedali».

Che fare dunque?

«Bisogna avere il coraggio di vaccinare chi ancora non lo ha fatto e chi è a rischio».

Ha senso l'obbligo vaccinale sopra i 50 anni?

«Con intelligenza artificiale e algoritmi vari si possono definire le fasce di età e le categorie che devono essere vaccinate, anche più volte. Dopo proviamo a normalizzare il resto partendo dai bambini, dalle scuole, smettendo di fare tutti questi tamponi e quarantene: rimane a casa solo chi sta male e gli altri vanno a scuola. Dopo due anni di pandemia bisogna iniziare a normalizzare qualcosa, così è un delirio».

Le norme che sono state date per le quarantene sono sufficienti ad arginare i focolai?

«Quello che dicono i presidi, che tra una settimana saranno tutti in dad, è verosimile. Voglio dire che non stiamo registrando una situazione così drammatica: quando abbiamo avuto il picco di bronchioliti dicevamo che non sapevamo più dove ricoverare i bambini, ma non è successo in due anni di pandemia».

Gli screening sulle scuole?

«Perchè non organizzare uno screening sierologico di massa per capire quanti bambini hanno già avuto l'infezione? Chi ha gli anticorpi è a posto.

Tutte le regioni, avendo un centro di screening neonatale per individuare malattie metaboliche congenite, che in Lombardia è al Buzzi, hanno già la strumentazione e i laboratori per farlo: sarebbe veramente veloce - basterebbe un mese in Lombardia - economico e consentirebbe di dare delle priorità nella campagna vaccinale sui piccoli, ingaggiando maggiormente i genitori».

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