Chiusa la pizzeria «Frijenno»

I gestori avrebbero contatti con un clan della Camorra

(...) Così da ieri una misura interdittiva antimafia mette i sigilli al locale.

A svegliare l'attenzione della polizia sul ristorante era stata una scena da Far West del 5 ottobre 2016, quando quattro uomini si erano rifugiati lì dentro inseguiti da un tizio armato con due pistole: ne era nato un parapiglia, con fuggi fuggi dei clienti (alcuni dei quali ne avevano approfittato per andarsene senza pagare). Si era scoperto che attaccante e attaccati erano tutti, in un modo o nell'altro, legati alla «mala», specie napoletana, e che il regolamento di conti riguardava un debito non saldato di ventimila euro. Effetto collaterale: il riattizzarsi dell'interesse della Divisione anticrimine della Questura e della Dia.

Salta fuori che il ristorante è di proprietà di Maria Tommasino, una signora napoletana di 58 anni, e di suo figlio Luigi Amato. Marito della signora è Pasquale Amato, napoletano anche lui, vecchio navigatore dei clan camorristi, accusato di far parte della Nuova Famiglia, rappresentata a Milano dai Guida e da Fiorentino. A Milano Enzo Guida è cresciuto, al punto, dice lui, di sentirsi più ambrosiano che partenopeo. E qui, insieme a Fiorentino, ha inanellato condanne: l'ultima per la cosiddetta «Banda della camorra», una singolare finanziaria che secondo i giudici prestava soldi a strozzo agli imprenditori.

Pasquale Amato, dice la Prefettura, è uno di loro, processato e condannato insieme a loro. Per cui, conclude il prefetto Saccone parlando del ristorante, «emerge un quadro indiziario complessivo» basato su «elementi di fatto rivelatori di concrete connessioni con la criminalità organizzata». Giù la cler. Ma i titolari del Frijenno e Magnanno non ci stanno, e con il loro avvocato Angelo Colucci hanno già presentato al prefetto una «richiesta-preghiera» di revoca. Ricordano che Pasquale Amato ha già pagato il suo debito con la giustizia, che Guida e Fiorentino sono stati assolti dalla accusa di associazione mafiosa e che della sentenza d'appello, dopo più di due anni, non si conoscono ancora le motivazioni; spiegano che il parapiglia dell'ottobre 2016 in realtà era cominciato nella pizzeria accanto.

E spiegano che se tra i dipendenti del ristorante ce ne sono due con qualche guaio alle spalle, ce ne sono anche quattordici con la fedina penale immacolata; e per quanto riguarda i due non immacolati, uno dei quali fratello di Luigi, «negare al proprio fratello o al proprio figlio di essere assunto nella propria attività a causa di una indagine a suo carico sembra davvero contro ogni logica familiare, anche quella non mafiosa; parimenti illogica sarebbe la scelta di negare un lavoro a chi, dopo avere sbagliato, ha scontato regolarmente la pena e si è ravveduto».

Luca Fazzo

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