Clan nel bar vicino al Tribunale. "Ho spiato il pm nostro cliente"

Locale accanto al Palazzo di giustizia in mano al genero di un boss. Scoperti grossi traffici di droga ed estorsioni

Clan nel bar vicino al Tribunale. "Ho spiato il pm nostro cliente"

Spunta anche un bar in mano a persone legate alla 'ndrangheta di fianco al Palazzo di giustizia nell'inchiesta della Dda che ieri ha portato a quattro arresti e la chiusura indagine per 27 persone. Locale dirimpetto a uno degli ingressi del Tribunale, frequentato in pausa pranzo, tra gli altri, da numerosi magistrati. E dove la figlia di un capobastone calabrese raccoglieva informazioni su di loro.

Tra le persone finite in carcere c'è Luigi Aquilano, 44 anni, genero di Antonio Mancuso, 84enne boss della cosca di Limbadi, perché sposato con la figlia di quest'ultimo, Rosaria (non indagata). Aquilano avrebbe gestito un bar in via Manara e da lì la donna avrebbe assunto «informazioni» su «alcuni magistrati». Emerge dalle 850 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Lidia Castellucci. Il bar sarebbe stato acquistato nel 2018 da una società di Aquilano e rivenduto nel dicembre 2020. Da un'intercettazione del gennaio 2019 «è emerso come Rosaria Mancuso, approfittando delle generalità riportate sui ticket» dei buoni pasto «avesse consultato fonti aperte per informarsi sulla storia e sulla carriera professionale dei magistrati che sono habitué del loro bar». Diceva: «Guarda, oggi ho preso i ticket di tutti i nomi dei giudici, quelli che vengono, e mi sono andata a leggere le storie (...) la bionda invece ha fatto processi importanti... e poi uno che è venuto stamattina... praticamente sono andata a vedere... sai in quale processo faceva parte? In quello Why Not!».

L'inchiesta «Medoro», partita nel 2018 e condotta dal pm della Dda Alessandra Cerreti e svolta dai carabinieri del Ros, ipotizza reati che vanno dall'associazione di stampo mafioso al narcotraffico, dalle estorsioni alle attività illecite legate al recupero crediti, con presunti legami con la 'ndrangheta. Il «gruppo mafioso» era radicato in Lombardia e in particolare nella provincia di Milano. Inoltre, comunica il procuratore Marcello Viola, avrebbe «dimostrato la capacità di estendere la propria forza di intimidazione anche al di fuori dei confini nazionali», come a Ibiza. È venuto a galla un maxi traffico di droga con trasferimenti da quasi 100 chili, tra hashish, marijuana e cocaina e una «importazione di quasi 2 tonnellate di hashish» per un volume di affari di alcune centinaia di migliaia di euro. L'obbligo di firma è stato imposto a Viola Moretti, avvocato considerata «mandante» del recupero crediti per 44mila euro nei confronti di un imprenditore con cui aveva avuto una relazione. La donna si sarebbe rivolta a tre persone, contigue a cosa nostra, alla 'ndrangheta e alla Sacra corona unita, perché minacciassero il debitore. Uno di loro inviava via Whatsapp i messaggi intimidatori persino dal carcere. Quando poi il taglieggiato denuncia tutto, diventa nelle parole degli indagati «un morto che cammina, già puzza di cadavere».

Il gip ha applicato un «notevole ridimensionamento del quadro indiziario», non ha riconosciuto i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso e di narcotraffico contestati dai pm né l'aggravante del metodo mafioso nelle estorsioni.

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