il commento 2 Cosa nasconde il flop di Pisapia sul biotestamento

di Matteo Forte*

La grande rivoluzione arancione ha fatto flop sul biotestamento: verrà istituito un registro comunale che attesterà l'esistenza di una busta chiusa che un cittadino ha lasciato a un qualche notaio. A detta degli stessi promotori è un compromesso al ribasso, ma strumentale alla campagna referendaria in favore dell'eutanasia. E che poco c'entra con i compiti propri dell'amministrazione locale. Con il rischio, anzi, di rispondere di danno erariale davanti alla Corte dei conti qualora si dedicassero a questa funzione anche risorse umane e finanziarie, come paventato da una circolare ministeriale del 19 novembre 2010. L'iniziativa comunale sottende una concezione estremamente individualistica, a cui non sono certo estranee altre due delibere di giunta del 24 maggio scorso. Lì si riduceva del 30% il contributo all'assistenza domiciliare e si tagliavano del 50% le risorse dedicate ai soggiorni di sollievo per persone con disabilità. Da queste due scelte, insieme al biotestamento, non traspare certo un'idea integrale di uomo. La persona è vista come un atomo. Da sola, anche di fronte alla sofferenza. Tuttavia ciò contrasta con quella visione dell'uomo strutturalmente in relazione; con quella visione della libertà dell'essere umano sempre co-esistente nell'ordinato insieme di più libertà, per cui il diritto e la legge ne sono la condizione. Contrasta con quella visione per cui l'art. 32 della nostra Costituzione parla della salute come di un «fondamentale diritto», ma anche come di un «interesse della collettività». Ciò non solo vuol dire che esiste un dovere del «sano» nei confronti del «malato». Fin qui giunge equivocamente persino il sostenitore dell'eutanasia, quando afferma che occorre porre fine ad una sofferenza che renderebbe indegna la vita. Si può piuttosto dire che esista anche un dovere del malato a custodire un bene che è importante per se stesso e per gli altri. In questo caso più delle parole valgono gli esempi. In commissione consiliare sono intervenuti due medici affetti da tempo da gravi malattie: Mario Melazzini, costretto dalla Sla su una sedia a rotelle, e Sylvie Menard, oncologa colpita da un tumore alle ossa. Chi ha la fortuna di vedere all'opera queste due persone intuisce subito il senso del ragionamento fin qui fatto.

Il loro contributo al bene comune testimonia meglio di qualunque altra argomentazione cosa significhi il fatto che tenersi in vita con dignità, anche in condizioni di gravi malattie, sia insieme un diritto e un dovere che una società deve tutelare e promuovere.
*consigliere comunale Pdl

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