Certo che se l'alternativa è quella che si è vista ieri in centro, il sistema politico - con tutte le sue storture - può dormire sonni tranquilli. E con esso tutte le varie caste confusamente prese di mira ieri, nell'avvilente spettacolo messo in scena dagli «studenti» milanesi. Le virgolette sono d'obbligo, vista l'età di alcuni contestatori, e non è un caso se per qualcuno delle prime file, ironizzando ma non troppo, oggi si può parlare di una pensione conquistata sul campo, mediante il mestiere dei rivoluzionari.
Ma è chiaro che il mestiere degli arrabbiati è «ideologicamente usurante», e che questo mondo di «pantere», barricate e petardi non ha fornito negli ultimi anni lo straccio di una novità. Non solo continua a utilizzare il caos urbano, i botti e le imbrattature come strumento di manifestazione delle idee. Ma anche sul piano dei contenuti il movimento ha prodotto solo vuoto. Non c'è un'idea, infatti, non c'è un'analisi seria su cosa sia oggi la scuola. Non c'è la minima consapevolezza di cosa siano diventati lo Stato e l'istruzione pubblica - in mezzo alla più tempestosa crisi economica da 80 anni a questa parte.
Tutto si riduce alla riproposizione degli estenuanti liturgie protestatarie che da decenni occupano i palinsesti politici e mediatici, condite oggi con una spolverata di retorica anti-finanza, che fa tanto «indignados». Ma gratta gratta gli obiettivi sono ispirati sempre e solo dalla faziosità politica. Una faziosità che non avrà più tanti amici e compagni per cui parteggiare e da difendere, ma che riconosce sempre benissimo i «nemici», sempre quelli.
Ieri, per esempio, tanto per provare a mettersi in scia delle polemiche politiche più recenti, i manifestanti hanno deciso di puntare il Pirellone, la Regione.
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