il commento 2 Quando il «bagonghi» fu rinnegato

Ci volle una certa ottusità di fondo - anch'essa, d'altronde, qualità assai meneghina - per creare l'unanimità con cui nel 1996 venne stroncato sul nascere il tentativo della giunta Formentini di dare a Milano un suo simbolo. Il primo a dissociarsi dal progetto fu proprio il sindaco leghista, che lasciò il suo assessore alla cultura, l'architetto Italo Rota, a difendere da solo quel buffo pupazzo. Che in realtà era un'opera di arte concettuale di un grande come Luigi Ontani, e che venne spedito in magazzino in tutta fretta, sepolto dalla caustica definizione «nano Bagonghi» datane da Marco Formentini.
Come mascotte, probabilmente, ci si attendeva qualcosa di più consolante cioè di più banale. Invece quando si alzò il velo sulla creatura di Ontani apparve una sorta di elfo, che riassumeva dentro di sè alcuni principi cardine della milanesità: aveva la barba di Leonardo da Vinci, e il panettone lo indossava come un copricapo. Ma sopra il panetùn c'era il barattolo più celebre dell'arte concettuale del Novecento, la «Merda d'artista» di Piero Manzoni.
Apriti cielo. Da Riccardo De Corato e Emilio Tadini, sul Bagonghi piovvero contumelie di ogni genere. I politici si sbizzarrirono: «Sgorbio», «vergogna», «pagliaccio sciancato e deforme», «pupazzo degno da museo del trash», «bestemmia». Venne persino organizzato un referendum per bocciarlo a furor di popolo, e il popolo prontamente obbedì. Invano Rota si affannò a ricordare che «l'arte mette le ali agli asini e trafigge i re». La partita era persa ancora prima di cominciare. Ci mancò poco che si parlasse di arte degenerata, e un consigliere comunale propose che «l'orrendo figuro venga al più presto messo sotto una campana di vetro e esposto in piazza Duomo a perenne monito contro l'imbecillità artistica di ogni tempo».
Tra i pochi che difesero Bagonghi ci fu Elio Fiorucci, che di immagine e di Milano qualcosa ne sapeva: «Rappresenta bene lo spirito di Milano, la sua vivacità e ironia.

Il sindaco dice che è uno sgorbio? Io la trovo bellissima: è talmente moderna che non la capisce nessuno». Chissà dov'è, oggi, Bagonghi: con il suo piede uno calzato e uno nudo, a raccontare meglio che in tanti articoli di giornale la città dove convivono ricchezze e povertà. Ma sono cose che non si possono dire.

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