Contributi per gli affitti: due euro su tre a stranieri

I fondi liquidati vanno per lo più a non italiani De Pasquale: «Misure sulla povertà da rivedere»

Contributi per gli affitti: due euro su tre a stranieri

La gran parte dei contributi per gli affitti va a cittadini stranieri. Basta scorrere i nomi dei beneficiari in 3 degli ultimi 4 anni a Milano per verificare che i beneficiari di questi fondi - erogati dal Comune sulla base di norme regionali - sono per lo più non italiani.

Il dato risulta dai destinatari degli importi liquidati ed è ovviamente legato al grande tema dell'accoglienza e dell'integrazione, che appare sempre più difficile, soprattutto in periferia. A sollevare la questione, chiedendo una revisione dell'intero sistema delle politiche sulla povertà, è Fabrizio De Pasquale. Consigliere comunale di Forza Italia e presidente della commissione Partecipate, De Pasquale ha quantificato le somme liquidate negli anni 2012, 2013 e 2015, verificando questo fenomeno: «Le politiche della povertà sono sballate e devono essere ripensate - spiega - basta guardare come vengono dilapidate le risorse che ci sono. Un esempio è il fondo affitti, distribuito su base comunale in virtù di norme regionali. Dai contributi per gli affitti di questi anni risulta che il rapporto fra stranieri e italiani è circa 67-33, due terzi stranieri e un terzo italiani. Ma vale anche per il bonus bebè, o per il Sostegno per l'inclusione attiva (Sia), una misura nazionale introdotta dal governo Renzi per il contrasto alla povertà. La misura è destinata agli indigenti ma con modalità che favoriscono gli stranieri. Ed è un fondo a esaurimento, assegnato con punteggi. Ma questo fenomeno si vede anche nelle assegnazioni di case popolari».

Molti partiti fanno di questi temi il cuore del loro programma, con il classico slogan «prima gli italiani». L'esponente liberale azzurro sembra pensare che il problema sia che oggi vigono meccanismi per cui «vengono prima gli stranieri». «Il cuore del ragionamento - spiega ancora - è che se non si modifica l'Isee e se i Comuni non fanno controlli sulle auto certificazioni dei cittadini, si verifica una gravissima distorsione, di cui molti possono approfittare». Le norme sul welfare prevedono già requisiti di residenza ma è sul meccanismo di compilazione delle «classifiche» che si concentra De Pasquale: «Ci sono percentuali così poco proporzionate perché, mentre una famiglia italiana in situazione di difficoltà difficilmente riesce a ricadere nei requisiti di questi aiuti (basta avere una piccola proprietà, magari al Sud, o un piccolo conto in banca, o meno figli), i Caf accettano le domande di richiedenti che possono ricorrere ad alcuni escamotage, per il solo fatto che alla nostra anagrafe non tutto risulta, per esempio i matrimoni o la reale composizione dei nuclei familiari. Serve un'iniziativa contro l'evasione dei dati anagrafici. Se per la legge la povertà si misura con l'Isee, questo vuol dire affidarsi a uno strumento che si basa sulle autocertificazioni, quindi o i Comuni controllano o inseriamo persone che non avrebbero diritto».

Ma non è tutto: «Anche se tutto fosse in regola bisognerebbe modificare le leggi. Noi vediamo la povertà che avanza nei quartieri, ci sono famiglie con disoccupati o disabili, anziani che non ce la fanno. Se anche comportanti fossero ineccepibili, è tutto da ricalibrare».

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