«Cristo morto» a tre voci per rifare il look a Brera

Mantegna a confronto con Carracci e Borgianni Giovedì ingresso libero dalle 8.30 alle 22.15

Francesca Amè

A meno di un anno dal suo insediamento, la «cura Bradburne» dà i primi effetti. Da giovedì il pubblico entrerà in modo nuovo nella Pinacoteca di Brera diretta da quasi un anno dall'anglo-canadese James Bradburne: c'è una porta vetrata a separare l'ingresso dalla collezione e lì sorgerà, nel 2008, la nuova caffetteria. Varchi il corridoio in cui prima c'erano gli affreschi del Bramante e di Bernardino Luini, e non li trovi non più. Niente paura: sono alla Venaria Reale, per un doveroso restauro. Sulla destra una mappa aiuta il visitatore a orientarsi nel «nuovo ordine» di Brera, ché Bradburne lo aveva detto fin dall'inizio: sì a una fruizione migliore, no a «mostre-evento».

E così da giovedì, in una giornata speciale in cui la Pinacoteca sarà a ingresso libero dalle 8.30 alle 22.15, assistiamo alla seconda tappa di riallestimento del museo: una «rivoluzione copernicana» (copyright Bradburne) che tocca le sale che vanno dalla prima alla settima. Dopo il confronto tra lo Sposalizio della Vergine di Raffaello e dell'omonima opera del Perugino, in prestito dal museo di Caen fino al 27 del mese, ora è la volta del «Cristo morto nel sepolcro e tre dolenti» di Andrea Mantegna. Il dipinto, che mozza il fiato per l'ardito scorcio prospettico, fino al 25 settembre è messo a confronto nella settima sala con il «Cristo morto con gli strumenti della passione» di Annibale Carracci e il «Compianto su Cristo Morto» di Orazio Borgianni, il primo prestato dalla Staatgalerie di Stoccarda, il secondo dalla Galleria Spada di Roma.

Un dialogo denso di suggestioni: poche le certezze attorno alla genesi dell'opera del Mantegna (dipinta tra gli anni Settanta e Ottanta del Quattrocento, mentre lavorava alla Camera degli sposi di Palazzo Ducale di Mantova) ma granitica la verità sulla sua fortuna. Il quadro non passò inosservato per l'eccezionalità della prospettiva, con i piedi di Gesù che paiono uscire dalla tela: un'«inquadratura» citata persino da Pasolini nella scena finale di «Mamma Roma». Il Caracci, nel suo girovagare in Lombardia, di sicuro vide l'opera e la reinterpretò pochi anni dopo in chiave macabra insistendo sui dettagli fisici della crocifissione di Cristo mentre Borgianni, nel 1615, caricò la lezione del Mantegna secondo il gusto caravaggesco del tempo. Questo suggestivo dialogo «Attorno a Mantegna», cui Skira dedica una pubblicazione, è il culmine di un percorso nuovo che inizia appena superata la nuova porta a vetri. «Al centro c'è il pubblico»¸ dice Bradburne. Sotto nuove luci, c'è anche la straordinaria «Pietà» del Bellini e a metà del corridoio il «Cristo» del Mantegna. Dopo la soluzione firmata dal regista Ermanno Olmi nel dicembre del 2013 tra mille polemiche il quadro era stato posto in una nicchia, in basso, per essere visto «da genuflessi» - Bradburne ha optato per un allestimento meno emozionale, più pratico. «Dobbiamo rendere più comprensibile l'esperienza di visita»¸ la sua filosofia.

Vanno in questa direzione le visite guidate gratuite in agenda da venerdì a domenica e la scelta del direttore di accogliere oggi taxisti, concierges e guide turistiche per una visita in anteprima di tutte le novità: «Sono loro i nostri primi ambasciatori», dice Bradburne. Rivoluzione copernicana, appunto.

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