Parlare di Teatro Derby a Renato Pozzetto è come ricordare a Dino Zoff i tempi della Juve di Trapattoni. Fu proprio lui, futura star della commedia cinematografica italiana, a fondare il cenacolo del cabaret milanese nel locale gestito negli anni Sessanta da Giovanni, pittore e albergatore bolognese, e sua moglie Angela Bongiovanni. Allora era soltanto un ristorante dove si suonava jazz e sul cui palcoscenico si esibivano i protagonisti della musica milanese di quei tempi, da Celentano a Mina. Poi nel 1962, dopo l'ingaggio dato al pianista Enrico Intra, il locale iniziò ad essere il tempio del cabaret proprio grazie a giovani guitti come Pozzetto (allora in coppia inseparabile con Cochi Ponzoni), Enzo Jannacci, Lino Toffolo, Felice Andreasi, Bruno Lauzi e tanti altri. Renato e Cochi tenevano banco nelle fumosissime serate invernali con canzoni indimenticabili come «Ho soffritto per te», «A me mi piace il mare», «Lisa Beat», «La gallina», «È capitato anche a me» eccetera. Allora il Derby brillava di luce propria in uno scantinato di una palazzina in zona San Siro (da cui il calcistico nome).
«Altri tempi - ricorda ora Pozzetto - ma non voglio dire meglio o peggio che adesso. Semplicemente son passati 40 anni ed è cambiato pure il cabaret. I testi dei nuovi comici parlano di telefonini, di pleistescion e di internet. Allora aprivamo lombrello».
Dopo la lunga chiusura, il tentativo di Teo Teocoli e Mario Lavezzi di farlo rivivere nellex cinema di via Mascagni è stato un breve sogno. Il Comune ha venduto...
«Lo so, ma di che stiamo parlando? Un teatro non sono i muri ma quello che cè dentro, i contenuti artistici. Il Derby era un ristorante, la gente veniva a mangiare la cotoletta e lì trovava una compagnia di amici che la faceva divertire un sacco. Questultimo era un contenitore ma, da milanese, non so proprio che cosa ci facessero dentro...»
Insomma, il fatto che chiuda la lascia del tutto indifferente? «Il fatto che un teatro sparisca non è mai piacevole però, per favore, stiamo attenti a parlare di simboli. Il simbolo era quel Derby, che ha vissuto la sua gloria alla fine degli anni Sessanta fino a quando io e molti altri, che avevamo inventato il cabaret con il gruppo Motore, decidemmo dopo dieci anni di giocare la carta del cinema. La vita è così, è fatta di cicli storici...».
Sì ma il nuovo Derby, così come era nelle intenzioni dei promotori e nelle promesse di Palazzo Marino, avrebbe voluto raccoglierne leredità.
«Ma non scherziamo. Casomai i promotori, che frequentavano il vecchio locale gestito dalla vedova Bongiovanni, avrebbero forse potuto salvarlo allora, evitando che chiudesse. Ma adesso, francamente, mi sembra una questione velleitaria e nostalgica. E tutto sommato anche inutile».
Perchè inutile?
«Perchè il cabaret va avanti lo stesso anche senza Derby. Esiste la piattaforma Zelig che, devo dire, fa un ottimo lavoro di talent scout e spesso mette in evidenza giovani interessanti. Eppoi chiunque, se ha voglia di farlo, può dare vita a un club di cabaret, anche se...
Anche se?
«Ormai i talent show si fanno in televisione, vale per il cabaret e anche per tutto il resto, basta fare zapping. Meglio o peggio? Non voglio esprimere giudizi, semplicemente i tempi sono cambiati e il passato non ritorna».
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