Dare una moschea agli ospiti dell'Expo, ma senza commettere passi falsi. È una strada stretta quella che deve (e vuole) imboccare il Comune. Da un lato c'è l'intenzione di andare avanti e fare in modo che Milano abbia un «minareto»: uno o più luoghi di culto da mettere a disposizione - oltre che dei musulmani residenti a Milano - delle migliaia di turisti che la affolleranno nei mesi dell'esposizione universale. D'altro canto c'è la necessità di avere garanzie solide che nessuno potrà mettere in imbarazzo (o pregiudicare) il progetto; insomma evitare nuovi casi rappresentati da personaggi o dichiarazioni discutibili.
In effetti a molti è sembrata una singolare coincidenza quella che - solo pochi giorni la rottura fra la Comunità ebraica e il coordinamento dei centri islamici - ha visto uscire la notizia del «via libera» concesso a tutte le associazioni (anche del Caim) che hanno chiesto di essere iscritte all'albo delle religioni. Un segnale di eccessiva «rilassatezza»? Una scelta di campo? Forse, ma non solo. È vero, nella giunta c'è qualcuno che spinge per andare avanti con questo percorso iniziato dall'ex vicesindaco Maria Grazia Guida (che è di area cattolica e che molti ricordano per la partecipazione al Ramadan di via Padova con un vistoso velo in segno di rispetto). A Palazzo Marino, però, c'è anche chi frena e riflette sui problemi e le incognite di una simile operazione. Non è sfuggita a nessuno, per esempio, la dichiarazione che il vicesindaco Ada Lucia De Cesaris ha concesso alla «Repubblica». Interpellata sul tema-moschea, la Cesaris, che ha l'urbanistica, delega chiave per decidere il «dove» della moschea ha allargato le braccia: «È ancora prematuro, la giunta non ha ancora deciso nulla sulla richiesta di creare nuovi luoghi di culto per le comunità islamiche». Così ha ridimensionato la portata concreta delle iscrizioni all'albo (un dossier gestito dal più «impolitico» assessore alla Scuola, Francesco Cappelli, lo stesso che era stato spedito all'Arena col messaggio del sindaco nel giorno di chiusura del Ramadan, quello da cui è nato l'ultimo caso); ma la De Cesaris ha anche preso tempo, nel tentativo di capire meglio cosa si può fare e con chi. Il sindaco, da parte sua, quando ha affrontato la questione, l'ha fatto con parole d'ordine astratte e buoniste. E sembra non avere ancora le idee chiare.
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