È una storia dimenticata, quella degli ebrei nei Paesi islamici. Ma è la storia della gran parte della comunità ebraica di Milano, i cui componenti provengono per lo più dai Paesi arabo-musulmani: la Libia, l’Iraq, la Siria e il Libano ( la città di Mashhad in Persia fino alla cacciata dello Scià. Una storia volutamente dimenticata, per ragioni politiche: la vicenda degli ebrei nelle terre della Mezzaluna non è funzionale alla logica che incolpa di ogni male l'Occidente, e alla vulgata «antisionista», per non dire antisemita. Ora, a far luce su quella vicenda, arriva il saggio di Vittorio Robiati Bendaud, allievo prediletto del rabbino Giuseppe Laras e oggi coordinatore del tribunale rabbinico del Centro-Nord Italia, che a Milano ha sede.
«La stella e la mezzaluna», edito da Guerini, frutto di un lavoro di ricerca durato 8 anni, ripercorre in 250 pagine 1.400 anni di coesistenza, da Maometto fino alle soglie della Prima guerra mondiale. È il primo saggio che in Italia si occupa del tema.
Famiglia di origini libiche, studi filosofici, Bendaud si ferma prima dei tanto vituperati guasti del colonialismo, prima della nascita di Israele, e prima della diaspora che porterà quasi un milione di ebrei a scappare dai Paesi islamici, lasciando tutto per rifarsi un vita, in Europa, negli Usa o in Israele, ovviamente senza retoriche o sovvenzioni. Bendaud esce dallo stereotipo di una idilliaca «convivenza», per raccontare quella che era solo una «coesistenza», rapporti complessi, discontinui e altalenanti di due «civiltà», entrambe eminentemente orientali: quella arabo-islamica ma anche quella ebraica, che in molti di quei territori era autoctona e precedente alla diffusione dell'islam: «Ci sono stati rilevantissimi prestiti culturali, religiosi e linguistici - spiega Bendaud - gli ebrei si esprimevano in arabo, anche se non potevano usare caratteri arabi. Il primo libro stampato nel mondo islamico era una Bibbia, da stampatori ebrei». Il pensiero ebraico per otto secoli si esprime in lingua araba, che divenne veicolo di scienza, letteratura e filosofia, in un'osmosi che oggi è spesso rimossa. Grandi prestiti, ma in un rapporto «complesso, sofferto, ambiguo». «L'ebraismo non sarebbe lo stesso - ammette Bendaud- senza l'incontro-scontro con l'islam».
Niente versioni di comodo però. «Non si può parlare di convivenza, semmai di coesistenza, vista l'impermeabilità dei due gruppi e una società islamica che prevedeva una struttura discriminatoria, una protezione che era in sé anche una subalternità, sebbene variabile per intensità e durezza, nelle varie epoche e nei diversi Paesi». «C'è una forbice ampia, si va da una protezione-discriminazione soft a momenti di persecuzione attiva e violentissima». «In Europa - spiega Bendaud - sino all'età contemporanea il problema era: cosa ne facciamo degli ebrei? Che diritti hanno? Nel mondo islamico un posto c'era, regolamentato dal Corano e dalla Sharia. Gli ebrei dovevano pagare una tassa, riscossa fra l'altro talora con pratiche di grande umiliazione: restare per ore sotto il sole, mentre l'esattore da un baldacchino si rivolgeva loro in modo sprezzante, potevano essere percossi». Altri esempi di questa subalternità: «Gli ebrei non potevano uscire dai loro quartieri con le scarpe ai piedi, dovevano toglierle davanti alle moschee e al passaggio di un musulmano». Gli ebrei, insomma, erano discriminati, umiliati, tollerati e in genere risparmiati. È vero che la loro condizione era meno pericolosa di quella dei cristiani, anche perché non erano percepiti come una minaccia, privi com'erano di Stati alle loro spalle. Questa solitudine, tuttavia, li esponeva totalmente agli umori del momento e li privava di un porto sicuro in cui cercare riparo. Si determinò quindi un delicatissimo gioco con tre attori, due dei quali nella stessa condizione di soggezione, che creava competizione ma anche speciale solidarietà, come durante l'unico caso paragonabile alla tragedia indicibile della Shoah, quel genocidio armeno in cui gli ebrei occidentali salvarono migliaia di vite.
Poi è arrivata la storia del tardo Ottocento e del Novecento.
Con «l'arrivo dell'Occidente che - spiega Bendaud - è stato uno spartiacque, e ha inoculato elementi totalitari esogeni di cui hanno fatto le spese anche i musulmani, ma soprattutto gli ebrei e anche i cristiani, ieri come oggi». «E l'antiebraismo cristiano ha contribuito a modulare quello islamico tradizionale. Oggi sta avvenendo un processo inverso, anche in Occidente».Alberto Giannoni
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