Cronaca locale

"Ecco perché ho rifiutato di ricandidarmi sindaco"

Nel suo libro "Rivoglio la mia Milano", Albertini racconta una vita da politico e amministratore

"Ecco perché ho rifiutato di ricandidarmi sindaco"

Il flusso di coscienza di un Forrest Gump (copyright lui stesso) diventato da imprenditore, amministratore del condominio Milano, europarlamentare, senatore e collezionista seriale di onorificenze. Oppure si potrebbe dire che Rivoglio la mia Milano. Il sindaco rimette i pantaloni, eloquente ultima fatica letteraria di Gabriele Albertini con il giornalista Sergio Rotondo, prefazione di Francesco Alberoni e dadaista postfazione di Vittorio Feltri (De Ferrari, 442 pp, 24 euro) è un'opera distopica o utopica, a seconda dei punti di vista. Perché, per ragioni tecniche ed esistenziali degli autori, si trova a raccontare una candidatura a sindaco nel 2021 quando la cronaca, anzi ormai la storia di Milano raccontano tutt'altro. Anche per l'intervento della moglie Giovanna che gli ha evitato quel «sequestro del consenziente» con cui ha sempre definito l'incarico da sindaco. E allora è meglio ritrovare proprio in questa sfasatura spazio-temporale il vero Dna di un uomo che nel suo essere sempre altrove, ha trovato quella sua qualità che ne fa ancora uno degli amministratori più ambiti. Di qui l'interesse per un altro libro sulla sua vita se, tra le pagine e gli aneddoti si decifra questa sua aristocratica sprezzatura, il disinteresse se non l'avversione per le bagatelle della politica politicante da cui l'arcangelo Gabriele dei milanesi post Tangentopoli alla fine è sempre riuscito a tenersi lontano. Anche con le dimissioni senza data custodite nel cassetto e agitate di fronte agli assessori più intemperanti.

Quanto fu felice fu quell'intuizione di un Silvio Berlusconi dal tocco magico a cui quell'oscuro falco di Federmeccanica fu presentato da Fedele Confalonieri e Cesare Romiti. Due mandati da sindaco di godimento puro, per lui e per i suoi concittadini, ricostruiti in un racconto in presa diretta da cui emergono retroscena raccontati secondo il rito albertiniano della rasoiata che sfregia più gli amici da cui si è sentito tradito che i nemici. Anche se la parte che più gli sta a cuore è il «Duello all'ultimo atto tra il sindaco di Milano e un sostituto, poi aggiunto, poi di nuovo sostituto procuratore della repubblica», dove gli altri duellanti sono Alfredo Robledo e il compianto presidente della Provincia Filippo Penati: materia del contendere il «Caso Serravalle», di cui nel libro si riproduce la sterminata quantità di documenti prodotti dalla sua proverbiale acribìa. Non solo materia per entomologi del diritto amministrativo o archeologi della politica, ma uno spaccato della degenerazione della magistratura i cui ritratti così poco commendevoli stanno fiorendo come margherite a primavera.

Ma tornando ai suoi anni da sindaco, sicuramente i più ruggenti, e alla mancata ricandidatura, proprio dal non aver mandato al macero le bozze del libro, compare la filosofia di un amministratore che ha sempre declinato il quotidiano solo nel paradigma del futuro da consegnare alle giovani generazioni. E così fa sorridere che proprio venerdì sia stato presentato il bando per costruire quella Biblioteca europea da lui immaginata nel 1999 e che, dopo essere stata abbandonata, potrebbe vedere la luce con 27 anni di ritardo. Se ne facciano una ragione i detrattori suoi e del centrodestra, in quei nove anni tutto successe: i grattacieli di Porta Nuova e il Bosco verticale nell'area Garibaldi-Repubblica, le torri di City life, quattro depuratori, il maggior numero di chilometri di metropolitana, i parcheggi interrati, la rinascita della Scala e la nascita dell'Arcimboldi: 6 miliardi di euro investiti più 30 del privato (nazionale e internazionale). Il tutto senza un solo avviso di garanzia per sé o per un assessore delle sue giunte. Difficile con questi numeri e questa fedina penale negargli il titolo di miglior sindaco d'Italia nell'era repubblicana. Di qui il rimpianto, da lui confessato nel libro, per non poter gestire i 18 miliardi assegnati a Milano dal Pnrr e da spendere in appena 5 anni. Perché non c'è dubbio che i 60 immobiliaristi provenienti da tutto il mondo messi al tavolo da Albertini, investirono su Milano proprio perché di lui si fidavano. E da lì tutto è nato.

Per il resto, dal libri si ricostruiranno la sua rabbia per la parola «discontinuità» utilizzata da Letizia Moratti al momento di ricevere il testimone di una Milano già lanciata verso l'Expo e i palcoscenici mondiali, i 5Stelle e il disastro «dell'incompetenza al potere», le cinque volte che sarebbe dovuto diventare ministro («due volte ho detto no io, le altre tre qualcuno si è messo di mezzo»), l'Andreotti che a lui ventiseienne in ascensore spiega che per rimanere uomini di potere bisogna «sopire l'invidia» degli altri o di Cossiga che entrando con lui a braccetto a Palazzo Marino davanti ai vigili fatti trovare in alta uniforme, gli aveva suggerito di creare i «corazzieri del sindaco» schizzando anche una perfetta divisa.

Vale da sola i 24 euro la galleria di foto che vanno dalla «bellissima» Didi, la fidanzata giovanile figlia del farmacista di Portovaltravaglia con un Albertini ancora crinito, Gianni Agnelli, un giovane Putin e la regina Elisabetta a Palazzo Marino. Ma anche una Megan Gale per cui ha sempre avuto una platonica inclinazione e quel tuffo in costume e fisico apollineo per inaugurare la piscina Scarioni. Le mutande di Valentino sono nel retro di copertina e all'interno abbondantemente chiosate, così come l'Albertini «albero di Natale» in frac e onorificenze di cui si confessa «collezionista seriale».

Giovedì 31 alle ore 18 «Rivoglio la mia Milano», Talk resiliente alla Fabbrica del Vapore, via Procaccini 4 con Albertini e Rotondo, Vento, Alberoni, Mannheimer, Tortorella.

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