Quando l'appena eletto Giuliano Pisapia nominò la sconosciuta Cristina Tajani assessore alle Politiche per il lavoro, la maldicenza venne facile: per forza, è barese di Terlizzi come il governatore della Puglia Nichi Vendola, il padrino politico del nuovo sindaco. Ma nessuno avrebbe immaginato che la Tajani avrebbe fatto così presto carriera: lei, giovane e donna, gia un anno dopo scelta come sindaco d'agosto a sostituire un Pisapia in ferie prolungate. Cosa di cui in pochi si sarebbero accorti, se non le fosse toccato l'onore, ma soprattutto l'onere di rappresentarolo in quel ginepraio in cui si è trasformato il Ramadan di domenica scorsa all'Arena. Dove davanti a qualche migliaio di musulmani inginocchiati sotto il sole a picco, la Tajani ha potuto fare la sua arringa fuori scaletta, preferita dagli organizzatori alla lettera dell'arcivescovo Angelo Scola che severo metteva in guardia dai «predicatori di odio». La Tajani, invece, dopo aver deciso che il velo al contrario di tutte le altre donne si poteva tenere sulle spalle e non a coprire la testa, parlava di «una città capace di riconoscere le differenze». E omaggiava la folla con un arabo As-salam alaykum, la pace sia con voi.
Precisa, preparata e puntigliosa. Perché, facendo un passo indietro, il giorno dopo la sua nomina ad assessore toccò andare a informarsi sul suo curriculum. Per scoprire una laurea in Discipline economiche e sociali alla Bocconi, discutendo una tesi in economia politica e poi un incarico nella segreteria della Flc-Cgil di Milano, il sindacato dei lavoratori della conoscenza, con delega all'università.
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