Cristina Bassi
«Infondata», frutto di una «superficiale conoscenza» delle regole sugli appalti e con «aspetti bizzarri». È l'accusa di abuso d'ufficio in concorso mossa a Giuseppe Sala il 13 dicembre scorso dalla Procura generale, secondo i legali Salvatore Scuto e Stefano Nespor. Nella nuova memoria difensiva depositata ieri gli avvocati del sindaco confutano punto per punto le tesi dei sostituti pg Vincenzo Calia e Massimo Caballo. Che nell'atto di chiusura delle indagini formulavano la nuova accusa all'ex ad di Expo 2015, relativa all'inchiesta sulla fornitura del verde. Mentre chiedevano di archiviare quella di turbativa d'asta. Resta poi la contestazione di falso per la presunta retrodatazione di un verbale, per cui il sindaco andrà a processo il 20 febbraio.
I difensori chiedono che l'accusa di abuso d'ufficio venga archiviata, per la sua «manifesta e radicale infondatezza sia per l'insussistenza dei fatti addebitati, sia per l'inapplicabilità e il travisamento delle norme che si assumono violate». E al fine di evitare «di aggravare ulteriormente i danni al prestigio e all'immagine» di Sala. La memoria parte dal punto «assai delicato» del potere di avocazione in mano alla Procura generale, che nel novembre 2016 aveva sfilato il fascicolo sulla Piastra di Expo alla Procura della Repubblica. Una scelta, quella dell'avocazione, che gli avvocati non condividono: sarebbe frutto di «una sorta di generalizzato superpotere» della Pg.
Non solo. L'accusa spuntata per ultima sarebbe arrivata «a conclusione di un'affannosa ricerca di qualche nuova imputazione, a tempi ormai abbondantemente scaduti». Il reato di abuso d'ufficio sarebbe «divenuto nella prassi come l'elisir di Dulcamara: vale per tutte le occasioni in cui non c'è niente di meglio». Il riferimento è al personaggio dell'opera Elisir d'amore di Gaetano Donizetti, che vende un portentoso intruglio. Per antonomasia, un ciarlatano.
Alla base dell'ipotesi che Sala abbia violato il Codice degli appalti, aggiudicando direttamente alla Mantovani la commessa per la fornitura di piante per 4,3 milioni di euro, non ci sarebbero nuovi elementi e nuove prove rintracciati dal sostituti pg. Riguardo invece al costo dell'operazione, che sarebbe stato gonfiato per favorire l'azienda aggiudicataria: l'allora ad avrebbe fatto verificare con cura la congruità di tutti i prezzi. E avrebbe convinto la Mantovani a scendere del 15 per cento rispetto alla cifra indicata da MM in una apposita consulenza. Ed ecco il cuore della questione, secondo la difesa. In quanto commissario straordinario, Sala era «autorizzato ad avvalersi di deroghe» a una serie di disposizioni, in particolare del codice dei contratti pubblici. L'affidamento diretto gara in questione quindi sarebbe stato «non solo ammissibile, ma doveroso per avere buone probabilità di inaugurare Expo nei tempi previsti». Se l'allora manager non avesse agito d'urgenza, Expo «si sarebbe svolta in una assolata distesa di cemento».
Infine la stoccata: se gli alberi fossero stati collocati in ritardo, sarebbero morti. Con grave danno. «In questo caso, non c'è dubbio che il dott. Sala sarebbe stato indagato dalla Procura generale... per non aver utilizzato una procedura negoziata (senza gara, ndr)».
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