Un happy ending afferrato con le unghie, perché per la felicità «ci vuole passione, fiducia e un pizzico di tenacia». Tra letteratura, autobiografie e biografie immaginarie corre la divertente, comica ma anche crudelmente ironica favola Fame Mia quasi una autobiografia di e con Annagaia Marchioro, in cartellone al Teatro Leonardo da oggi all'11 febbraio (ore 20.30, domenica ore 16.30, ingresso 24 + prevendita, info 02.86.45.45.45). Liberamente ispirato al bestseller Biografia della Fame di Amélie Nothomb, il monologo scritto e interpretato dall'attrice veneziana (già premio «L'Alba che verrà» 2016 con una prima stesura) è un racconto tragicomico sul disturbo alimentare, l'ossessione per il cibo, nelle sue declinazioni più leggere e più gravi - bulimia e anoressia - che frequentemente colpiscono le donne rispetto agli uomini.
Dalla penna della celebre scrittrice belga all'approdo in palcoscenico, la narrazione ha subito una trasformazione, come spiega la protagonista: «Il libro della Nothomb fu per me una folgorazione afferma . Ci è voluta una lenta marcia di avvicinamento per capire come trasmettere le cose giuste utilizzando quel libro. La regia di Serena Sinigaglia è stata fondamentale. Sulla scenografia e sulle sorprese finali non posso dire nulla, fanno parte del senso dello spettacolo. La sua intuizione è stata anche quella di trasportare il testo della Nothomb sottotraccia, portando in risalto il mio racconto personale, dalla mia infanzia, passando per l'adolescenza e raggiungere l'età adulta. Dunque tutto si svolge a Venezia. Ma insieme a me ci sono tanti altri personaggi, che evoco attraverso aneddoti».
Un testo ironico, a tratti addirittura comico: «Sì si ride molto spiega Annagaia Marchioro anche se il messaggio di cosa significhi avere disturbi alimentari passa, eccome. Alla base c'è sempre una donna che cerca sé stessa. La fame ci accomuna tutti, belli, brutti, storti, compiuti o incompiuti. E soprattutto è un sentimento universale. E non ha a che fare, ovviamente, con il solo cibo». Intanto, il cibo finisce per essere qualcosa che si ama e si odia: «Perché in molti luoghi, sicuramente qui in Italia, è ciò che crea il convivio. Ma quando soffri di un disturbo alimentare, il cibo diventa tuo nemico, anche a livello sociale. Quando invece il vero nemico dovrebbe essere il fast-food in solitudine». Fame Mia è un racconto che finisce per colpire più il pubblico femminile condizionato esteticamente, oggi con più consapevolezza che in passato, dalla società: «La protagonista del mio racconto, molto simile a come ero io da ragazzina: una persona che vuole mangiare la vita e anela all'assoluto.
Ma solo l'esperienza e la maturità possono insegnarti a capire che come essere umano devi confrontarti con un limite. I grandi amanti tendono all'assoluto e tendono a bruciare i propri amori». Ciò che si può dire, in definitiva, di ogni utopia, individuale o collettiva: l'assoluto lastrica le strade verso l'inferno.FG
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