Non che ormai ci si possa più di tanto stupire, ma la capacità di riciclare danaro da parte delle cosche calabresi al nord - sempre pronte a reinvestire capitali illeciti nell'acquisto di immobili e attività commerciali - è così sbalorditiva da insinuare il timore (per niente utopistico) che si tratti di qualcosa di inesauribile. Naturalmente grazie e soprattutto alle nuove generazioni di figli, nipoti e pronipoti vari, molti dei quali laureati e quindi «preparati» sotto ogni profilo, e tutti residenti nell'hinterland. Per esempio Bartolo Bruzzaniti, 43 anni, che abita a Garbagnate Milanese e appartiene all'omonima cosca della Locride, tra le più importanti insieme alle «gemelle» Morabito e Palamara con cui sono è imparentata con legami di sangue. Martedì la Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, in collaborazione con quella meneghina, ha dato seguito all'indagine della Divisione anticrimine della questura di Milano, diretta da Alessandra Simone, proprio sul patrimonio nella disponibilità del 43enne. È venuto fuori così che nel territorio del Comune della cintura a nord di Milano, c'era un patrimonio del valore complessivo di tre milioni di euro intestato a familiari e prestanome del boss: la moglie, il suocero e la madre di Bartolo, che è cognata di Rocco Morabito, a sua volta fratello del superboss ndranghetista Giuseppe Morabito detto o Tiradrittu.
Si tratta di una casa di cinque vani, sette immobili (di cui uno commerciale), un bar, due magazzini, due box, tre società e una Audi Q3, tutti a Garbagnate e diversi conti correnti. Beni che permettevano a lui e ai suoi familiari di condurre uno stile di vita ben al di sopra di quello che si sarebbero potuti permettere con i redditi dichiarati che rasentavano lo zero. Si, Bartolo Bruzzaniti risulta nullatenente, in realtà, insieme a tanti come lui, è semplicemente un proprietario occulto. Un uomo che nel 2010, secondo gli investigatori dell'Anticrimine, ha presentato una dichiarazione dei redditi che si aggira intorno ai 10mila euro. Ridicola, per uno del suo calibro.
La carriera criminale di Bartolo Bruzzaniti inizia nel 1991, quando è ancora minorenne, con il furto di una Vespa. Quello stesso anno è denunciato per favoreggiamento per aver riferito informazioni sbagliate agli investigatori che indagavano sul suo ferimento a colpi di pistola la notte di Natale ad Africo Nuovo. Dieci anni più tardi viene indagato per associazione mafiosa nell'ambito dell'indagine «Sim card» della procura di Reggio Calabria relativa al possesso di cellulari nelle disponibilità del boss Antonio Pangallo mentre era recluso nel carcere di San Vittore. Nel 2004 il tribunale di Torino lo condanna a 10 anni e 8 mesi per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga: Bruzzaniti e suo cugino omonimo di 44 anni avevano offerto l'acquisto di dieci chili di cocaina ad agenti della squadra mobile torinese che lavoravano sotto copertura.
Nel 2005, già in carcere, Bruzzaniti è stato condannato a un altro anno di detenzione per droga nell'ambito di un'indagine della Dda su una rete di spacciatori che coinvolgeva anche le famiglie Trovato, Mancuso e Papalia. Ha finito di scontare la sua condanna nel 2011.
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