Il giudice condannato? Continua a fare il giudice

Alcioni, cui è stata inflitta una pena di 2 anni e 8 mesi per concussione, resta al suo posto. Vertici e Csm fermi

Il giudice condannato?  Continua a fare il giudice

Stanza 113, sesto piano del Palazzo di giustizia. Qui, in nome del popolo italiano, amministra la giustizia il giudice Giorgio Alcioni, della decima sezione civile, specializzata in risarcimenti dei danni. Il giudice Alcioni è stato condannato a due anni e otto mesi di carcere per concussione. Ma continua a stare lì, al suo posto, come se niente fosse.

Si dirà: la condanna non è definitiva, si tratta di una sentenza di tribunale contro la quale Alcioni sicuramente ricorrerà in appello. Vero. Peccato che per altri servitori dello Stato il sistema sia assai meno garantista: si pensi ai molti poliziotti che dopo la prima condanna, anche per fatti meno gravi, vengono sospesi dal servizio. Anzi, a volte la sospensione scatta appena il poliziotto finisce sotto inchiesta. Alcioni invece è lì, nella sua stanza. E più di un avvocato che se lo è ritrovato davanti dopo che era stato condannato si è chiesto con quale serenità un magistrato in quella condizione potesse esercitare la sua delicata funzione.

La condanna di Alcioni nasce da una lunga serie di prepotenze che il magistrato avrebbe messo in atto per bloccare l'apertura di un bar al pian terreno del palazzo dove abita, in viale Montenero. All'insegna del più classico «lei non sa chi sono io», Alcioni avrebbe prima minacciato il titolare del bar («lei questo bar non lo aprirà mai, lei è a conoscenza del lavoro che svolgo?») e poi anche gli impiegati comunali addetti alla pratica edilizia, sventolando il tesserino da magistrato per costringerli a consegnargli copia degli atti: «Se voglio io il fascicolo lo visiono lo stesso, lo faccio sequestrare e me lo porto a casa». E via di questo passo. Il 7 maggio Alcione viene condannato per concussione; per altri due capi d'accusa - tentata concussione e abuso d'ufficio - se la cava con la prescrizione.

A quasi un mese da quella condanna, né i suoi capi né il Csm sembrano essersi accorti del «problema Alcioni». Il presidente del Tribunale, Roberto Bichi, non risponde alla richiesta di rendere note le sue intenzioni sul caso. Al Csm spiegano che per aprire un procedimento disciplinare serve che si muova qualcosa da parte dei titolari dell'azione disciplinare, cioè il pg della Cassazione o del ministro della Giustizia. Il ministro fa capire che qualcosa si sta muovendo, che un procedimento esiste. Ma i tempi rischiano di essere lunghi, visti soprattutto i guai attraversati in questo periodo dal Csm. Così, come se la cosa fosse normale, Alcioni continua a distribuire ragioni e torti. Eppure si tratta di un magistrato che, secondo le accuse della Procura di Brescia, nominava come perito nelle cause che doveva decidere lo stesso consulente chiamato a dirimere lo scontro con l'odiato barista.

E che quando un tecnico comunale aveva dato ragione all'esercente, era andato ad apostrofare così un suo sottoposto: «Che bei pareri che fa il suo capo, brava, brava. Ma è sicura che l'anno prossimo farà ancora questo lavoro?». Ma questo, a quanto pare, non dimostra che sia un cattivo giudice.

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