Gleijeses, risate amare nel segno di Scarpetta

Gleijeses, risate amare nel segno di Scarpetta

Anche se è (e rimane) universalmente noto per la celeberrima interpretazione del principe Antonio De Curtis in arte Totò, quel piccolo grande capolavoro del teatro napoletano che si chiama «Miseria e nobiltà» in cui fin dal lontanissimo 1888 Eduardo Scarpetta, messo al bando con un guizzo di impagabile ironia il vetusto carattere di Pulcinella, il lazzarone per antonomasia, a favore della gran maschera di Felice Sciosciammocca, ancor oggi suscita l'irrefrenabile entusiasmo delle folle. Non fosse altro per lo strepitoso accostamento tra la vis plebea e la spregiudicata caricatura dei vizi e dei vezzi della classe borghese. Tanto che Geppy Gleijeses, che della scena napoletana elevata a teatro d'arte è giustamente considerato l'alfiere, ne adotta da maestro lo stile con una sprezzatura di elegante sufficienza non esente da un'accorata partecipazione emotiva. Che mette in scena al Teatro Franco Parenti da oggi fino al primo dicembre al fianco di Lello Arena e Marianella Bargilli.
Secondo Gleijeses, il personaggio Sciosciammocca non è solo «colui che non riesce a trattener la risata che a intermittenza gli brilla in gola come un metallo prezioso che deve ad ogni costo manifestarsi» ma il solo modo possibile per reagire da maestro contro il sopruso. Anche «quando è ammantato da una pietà tanto condiscendente da apparire sospetta». Un carattere che nasce dalle gran farse di Moliere qui travasato nella gran bocca del popolo che tutto dice e tutto sottintende spalancando le labbra pittate di rosso fuoco nella maschera di un pupazzo da fiera diventato l'emblema sconsolato ma irridente della nostra impotenza. Che ci concede l'uso della satira a patto che ci rifugiamo sotto il sorriso conciliante di un finale di Buoni Sentimenti. Anche se domani tutto si riaprirà di nuovo a svantaggio dei diseredati che, dopo aver arraffato gli avanzi della cena sontuosa,a stomaco vuoto torneranno a sognare e a progettare un nuovo esasperato espediente per sedere alla tavola del ricco strappando di bocca all'anfitrione, una volta tanto beffato nella sua ostentata prodigalità, un'altra cena che li liberi dall'eterno digiuno decretato da un Fato che non ammette repliche.


Nello spettacolo Gleijeses regista punta con estro tutte le sue carte calando squinternati protagonisti e creature sognanti un avvenir migliore in una scena nuda ed asettica che ricorda, per sua stessa ammissione, l'inferno limitrofo nel quale Gorkji ambientava «L'albergo dei poveri». Dimostrando una volta di più l'equivalenza di una temperie culturale che da Partenope si travasa ed esprime nella santa Russia come nell'iszba squinternata del cinema di Kurosawa.

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