Piera Anna Franini
Nel Don Pasquale in scena alla Scala dal 3 aprile al 4 maggio, fa capolino la Roma dell'immediato secondo dopoguerra, degli Italiani Poveri ma Belli, della piccola borghesia che sfreccia su una Lancia Aurelia dal Sorpasso compulsivo, e che non disdegna la Dolce Vita. L'opera buffa di Gaetano Donizetti viene così riletta attraverso la lente della commedia all'italiana. Ecco un Don Pasquale un po' Aldo Fabrizi, Ernesto e Malatesta sono figli della Dolce Vita. Norina è la quintessenza della Roma «spaccona, sbruffona. Alla fine una grande furba», spiega Gianluca Falaschi, autore dei 130 costumi confezionati per quest'opera che avrà Riccardo Chailly sul podio, Ambrogio Maestri nel ruolo del titolo, Rosa Feola in quello di Norina, René Barbera nei panni di Ernesto e Mattia Olivieri nella parte di Malatesta. Firma la regia Davide Livermore, conosciuto alla Scala in autunno nel Tamerlano di Haendel.
Centotrenta costumi sono un'infinità per un'opera come questa. Il punto è che Falaschi veste interpreti, coro ma anche l'esercito di mimi che anima la Roma anni Cinquanta, quella del Piano Marshall, dei palazzi ancora gattopardeschi, bisognosi di investimenti, abitata da aristocratici decaduti e borgatari, prostitute e borghesi, un po' periferia e un po' Parioli, non manca un salto a Cinecittà. Vedremo una Roma immenso set, omaggio a Fellini e a Risi, vissuta da donne dalla vita affusolata, fianchi generosi, anche in virtù di imbottiture, ampie gonne rette da crine, quindi cascate di piume felliniane. In quest'allestimento, l'abito fa l'opera.
Don Pasquale è un signore benestante, in là con gli anni. Vorrebbe che il nipote Ernesto sposasse una ricca signora, ma il giovanotto ama la plebea Norina. Che fare? Malatesta ordisce un piano per far sposare, senza consumo però, Norina con Don Pasquale, lei lo sfibrerà al punto che verrà rimandata al mittente: Ernesto. E così sarà. Felici i giovani amanti, gabbato l'anziano zio.
Dietro il sorriso, una profonda amarezza in quest'opera di Donizetti dove Don Pasquale tramite il matrimonio vuole riappropriarsi di una giovinezza mai del tutto vissuta, missione impossibile, è troppo tardi. La Roma che lui incarna, quella dei palazzi, viene sopraffatta dalla Roma del Tevere, dell'astuzia di Norina che persino sull'abito ha impressa la città di Roma: dipinta da Clara Sarti, tra le mani intelligenti dei laboratori scaligeri.
Norina è una donna camaleontica, si veste e traveste continuamente adeguandosi alle diverse identità, entra in scena come fanciulla timorata di Dio e ne esce a testa alta, chiude con la vedovanza e si sposa il buon partito, Ernesto. Sicuramente conosce il mondo della moda anticipa Falaschi, forse per aver lavorato come disegnatrice delle Sorelle Fontana, evocate nello spettacolo, dove non mancano sfilate di moda.
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