I giochi intorno alla Lombardiail retroscena

L'indiscrezione circola. Si inabissa e poi ritorna. «Albertini rinuncia», «Albertini non arriva in fondo», «Albertini farà un passo indietro». Ogni volta che nei corridoi della politica si propaga questa voce, ecco che arrivano le smentite, più o meno esplicite. Dall'ex sindaco o dai suoi. Dichiarazioni di questo tenore: «La candidatura è sempre più forte», «arriveremo fino in fondo», o addirittura «corriamo per vincere».
Eppure anche qualcuno che proviene dall'aria politica che oggi sostiene la candidatura a governatore dell'ex sindaco, confidenzialmente ammette: «Ma se Gabriele è il primo che non ci crede, alla sua candidatura, perché dovrebbero crederci gli altri?». Lo scetticismo si riferisce alla doppia candidatura. Alle Regionali e alle Politiche. Questo paracadute che il «Terzo polo» ha aperto per lui, candidandolo come capolista al Senato in Lombardia, ha fatto storcere il naso a più d'uno, anche fra i centristi. Ed è tutto intorno a questa doppia corsa di Albertini che ora si muovono ipotesi e indiscrezioni.
I ragionamenti vanno tutti in una direzione, che ha che fare con la sfida che si gioca qui, nella regione più grande d'Italia, quella che mette in palio seggi decisivi per la formazione di una maggioranza al Senato. L'investitura di Albertini come volto simbolo in Lombardia della cosiddetta «Scelta civica» di Mario Monti è arrivata direttamente dal premier, che per partecipare alla presentazione del suo «tridente» lombardo (Albertini-Pietro Ichino-Mauro Mauro) si è precipitato a Milano con un volo da Roma «toccata e fuga». Quel giorno, proprio quel giorno, Monti ha subìto l'altolà di Pierluigi Bersani. Il segretario del Pd è sbottato: «A me va bene tutto - ha avvertito - purché queste mosse non aiutino a togliere le castagne dal fuoco a Silvio Berlusconi e alla Lega. Se accadesse, dovrebbero spiegare. Io voglio capire da Monti e dal centro contro chi combattono».
L'accoppiata Monti-Albertini, dunque, è stata presa male a sinistra. Per il Pd era il segnale di un'apertura delle ostilità. La reazione di Bersani è stata oggetto di interpretazioni diverse, nelle ore successive, ma poi - sondaggi alla mano - tutto è sembrato più chiaro. Monti in Lombardia dà più fastidio a Bersani che al centrodestra. E Albertini candidato toglie più voti a Umberto Ambrosoli che a Roberto Maroni. Insomma: non ci sono vasi comunicanti fra il Pdl e il centro, mentre ci sono fra il centro e il Pd. La strategia «competitiva» ha disturbato non poco i piani romani. Anche perché l'obiettivo praticamente dichiarato è un'alleanza post-elettorale fra il centro e il Pd. E qualcuno sta escogitando nuove mosse e una nuova linea per correre ai ripari. Non dev'essere un caso se, proprio ieri, Albertini - seguendo Monti - ha insistito sul tema della famiglia e sul no alle nozze gay, dopo aver attaccato platealmente Ambrosoli. Il tentativo pare quello di riposizionarsi sul centrodestra, andando a competere con Maroni. È il segnale che una sorta di «patto di non belligeranza», implicitamente o no, è in ballo. Ora, inoltre, Albertini ammette una qualche difficoltà con le firme. E fa appelli per recarsi ai tavoli. Dal suo staff rassicurano: «Non ci sono particolari pericoli, tutto procede spedito, Albertini ha voluto sottolineare la differenza con i partiti, che le firme non le raccolgono, segnalando un problema».

Gli alleati gli stanno dando anche una mano. Eppure, fuori da Milano, qualche incertezza sull'esito dell'operazione resta. E così ripartono voci e fantasie: «Albertini è tentato dalla rinuncia». E Monti dal patto di centrosinistra.

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