«Giovani, inventatevi un lavoro. Non ve lo darà la politica, né tantomeno i sindacati. Noi cerchiamo sarti e sarte. Proponiamo ai giovani dai 14 ai 18 anni di imparare un mestiere creativo, divertente e senza limiti... dando un compenso in base al risultato. Io ho lavorato dai 10 ai 18 anni dai vari maestri. Ho imparato un mestiere doro. Risultavo sul libretto di mia madre come coltivatore diretto». Firmato: Gianni Campagna. Lannuncio appare sulle vetrine di corso Venezia tra abiti tagliati con classe, orchidee, foto di dive e politici, capi vintage appartenuti a Jacqueline Kennedy e ad Aristotele Onassis.
«Mi scocciano tutte queste storie sulla crisi del lavoro - racconta il celebre sarto -. La verità è che i nostri ragazzi hanno perduto il senso del rapporto tra il dovere e la vita. Passo da Brera o dai Navigli, e li vedo lì con i bicchieri in mano. Perché non vengono da me che ho bisogno?». Nato settantanni fa in Sicilia nella stessa cittadina di Salvatore Quasimodo, a cui è legato da un rapporto di parentela, è la pecora nera della famiglia. «Non volevo saperne di studiare. Volevo lavorare, per costruire il mio destino non in base a una laurea ma secondo il mio piacere di vivere».
I cugini intellettuali non lo invitavano perché faceva il sarto. Lui non si è mai vergognato dessere diventato uno dei maestri di stoffa più richiesti dalle celebrità del mondo e il proprietario di un palazzo tra via Palestro e corso Venezia che anche la settimana scorsa un magnate svizzero ha cercato di comperare. «Gli ho risposto «no», ripensando alla mia esistenza. A dieci anni andavo a imparare da un sarto in Sicilia. Iniziavo alle sei del mattino scaldando il ferro con la carbonella, per continuare fino alle otto di sera; quindi uscivo in mare con i pescatori che per compenso mi regalavano un calamaro».
A diciotto anni arriva a Milano. Entra da Caraceni. E preso a tal punto dal suo lavoro che non nasconde dessere rimasto vergine fino ai 22 anni. Età in cui professionalmente si mette in proprio. «Non avevo tempo di conoscere donne. Ma la prima sera che maccadde, continuai tutta la notte e ancora oggi sento che la donna è lessere più bello del mondo. Questa è la vita: il lavoro e la femmina. Ho il dubbio che i giovani, con tutte le loro lauree, abbiano perso il senso del profumo del lavoro e anche quello di donna». Cita sullargomento un proverbio siciliano. Stupendo. Irripetibile. Ma perché quelle locandine sulla vetrina? «Una volta facevo stampare i miei pensieri sui giornali. Adesso è troppo costoso. Così dico la verità sulle mie vetrine. Ho scritto una lettera a Giuliano Pisapia, per spiegargli che i politici non sanno più fare i politici perché non hanno mai zappato la terra e non sanno quanto sia bassa. Lo stesso dicasi per i ragazzi. Vengono da me solo per fare domande: mi mette in regola? Quante ferie mi dà? Mi riconosce una professionalità? Sa, io non sono un sarto. Sono uno stilista. Rabbrividisco. I sindacati li difendono. Ma come si fa a difendere chi non ha voglia di rimboccarsi le maniche? E io di maniche me ne intendo».
Nessun dubbio. Quanto guadagna da lei un sarto? «Dai duemila ai quattromila euro al mese. Però sa, i laureati, ah! i laureati, quelli piuttosto di sporcarsi in una sartoria preferiscono tirare a campa. Io ho fatto la quinta elementare e poi, un po furbescamente, lo ammetto, sono arrivato alla licenza media. Scusi: ma è proprio necessario che vadano tutti a studiare?». Sul suo comodino Gianni Campagna tiene gli strumenti del mestiere e una foto di Giovanni Paolo II per il quale ha escogitato un abito più leggero, allo scopo di alleviare le sofferenze della malattia.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.