Un’altra giornata di interrogatori, e la sensazione che i pubblici ministeri stiano, passaggio dopo passaggio, chiudendo il cerchio intorno al giro delle tangenti al Pirellone. Nelle stesse ore in cui il presidente del consiglio regionale Davide Boni, indagato per corruzione, comunicava la sua decisione di non dimettersi dall’incarico, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo (nella foto) e Paolo Filippini convocavano in Procura altri comprimari dello scenario a base di politica e affari in cui si muove l’inchiesta. L’obiettivo della procura è ricostruire per filo e per segno non solo gli episodi di mazzette, ma anche i meccanismi interni agli assessorati regionali, gli equilibri tra partiti e correnti, i legami, le regole di spartizione delle zone e dei settori di influenza.
Anche in questi casi, come quello di Massimo Buscemi, ex assessore, interrogato alcuni giorni fa, non sono partiti nuovi avvisi di garanzia. Nel gergo giudiziario si chiamano sit, «sommarie informazioni testimoniali». Vuol dire che i personaggi convocati in Procura entrano ed escono dagli uffici dei pm senza venire iscritti nel registro degli indagati. Il che, se da un lato è per loro una buona notizia, li obbliga a rispondere e a dire la verità ai magistrati.
Più che ad allargarsi a macchia d’olio, insomma, l’inchiesta punta per adesso a scavare in profondità. Ogni tanto accade che salti fuori un nuovo episodio: è accaduto nel corso dell’ultimo interrogatorio di Pierluca Locatelli, l’imprenditore bergamasco mittente della stecca da centomila euro che nel novembre scorso ha fatto finire in cella l’ex assessore Franco Nicoli Cristiani. Locatelli ha fatto sapere di voler parlare di un altro episodio emerso dalle intercettazioni, una tangente da cinquantamila euro ad un politico di cui si faceva solo il nome di battesimo. Robledo e Filippini lo hanno interrogato per verificare se anche questa mazzetta avesse preso la strada del Pirellone. Invece pare che Locatelli abbia chiamato in causa un amministratore pubblico locale, e a quel punto la notizia di reato è stata trasmessa dalla Procura di Milano a quella di Bergamo, competente per territorio.
É chiaro che, se questa è la tecnica investigativa, l’indagine sulla Regione è destinata ad avere tempi lunghi. Non siamo alle guerre-lampo in stile Di Pietro, e chi si immaginava una Procura lanciata all’assalto del Pirellone resterà deluso. Ai pm in questo momento serve soprattutto lavorare sotto traccia, al riparo dei riflettori. Anche per questo c’è stato un piccolo richiamo all’ordine da parte del procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, per invitare i pm titolari del fascicolo a evitare esternazioni.
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