Da questa mattina via Marelli, dove a Monza cè il cimitero, non sarà più un luogo senza ricordo. Abbandonato da Dio e dagli uomini. Perché è lì che una giovane donna fu interrogata, torturata e uccisa allinterno di un capanno in un fondo privato nel quartiere di San Fruttuoso. Messa in 50 chili di acido che ci mise ben tre giorni a dissolverne il corpo. E i suoi resti versati con indicibile crudeltà in un campo. Oggi alle 11 sarà posta una lapide, perché quello che è successo non sia mai più dimenticato. Una cerimonia programmata da tempo dallassessore alle Pari opportunità Martina Sassoli che ha raccolto lappello lanciato in Rete dal sito Daw Blog. E che un destino (lui sì benigno) ha voluto si tenesse a poche ore dalla sentenza che ha fatto giustizia, condannando allergastolo tutti i sei carnefici di Lea Garofalo (nella foto). Donna coraggiosa, morta per amore dopo aver per amore collaborato con la giustizia. Spezzando la malapianta dellomertà, raccontando ai magistrati fatti di sangue e faide di ndrangheta. E per aggiungere altro orrore, a pronunciare la sentenza di morte fu, insieme a due fratelli, Carlo Cosco, lex compagno di Lea condannato anche grazie al coraggio della figlia Denise, avuta proprio con Lea. Ragazza coraggiosa, capace di accusare il padre per rendere giustizia alla madre, come nella più terribile delle tragedie greche. Perché Lea fu sequestrata il 24 novembre del 2009, nella ricostruzione del pm confermata dalla sentenza «legata e torturata» per sapere «cosa sapesse e cosa avesse raccontato di un omicidio avvenuto nel 95». Poi «le hanno sparato in testa». E «probabilmente dentro una fossa biologica» di un magazzino tra Milano e Monza «lhanno sciolta in 50 litri di acido», sorvegliando «per tre giorni» che il suo corpo arrivasse alla «totale dissoluzione». Carlo Cosco il «mandante» che, secondo laccusa, aveva in mente di «farla sparire» sin dal 2001 e che ci aveva già provato a Campobasso, attirò Lea e la figlia a Milano, promettendo alla ragazzina che le avrebbe comprato vestiti. E la madre, che nella primavera 2009 aveva deciso di uscire dal programma di protezione per riaprire un contatto con lex compagno, cadde nella «trappola». Le ultime immagini di lei in vita, filmate dalle telecamere, la vedono salire sulla macchina di Carlo Cosco in zona Arco della Pace. Poi le sue tracce si perdono per sempre.
«Rievocare questa tragica vicenda con una targa - spiega lassessore Sassoli - assume un valore ancor più significativo allindomani della sentenza.
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