L'altra vita del terrorista? In una pizzeria del centro

Il tunisino Neji Ben Amara aveva un passato a Milano Distribuiva volantini per un locale di corso Vittorio Emanuele

L'altra vita del terrorista?  In una pizzeria del centro

«Simpatico, gentile, sempre con il sorriso sulle labbra. Qui da noi si è presentato subito come tunisino e, forse per non creare complicazioni con complessi appellativi stranieri, si faceva chiamare Semi. Parlava italiano perfettamente. Per carità, però, non citi il nostro nome, sarebbe cattiva pubblicità per il ristorante, capisce no?».

Accontentato il titolare, che preferisce restare nell'anonimato, siamo andati a farci un giro nella centralissima pizzeria - si trova in una traversa di corso Vittorio Emanuele - dove ha lavorato, all'inizio del 2013, l'ormai notissimo «fighter Francesco», in realtà un tunisino di 36 anni di nome Neji Ben Amara, che ha vissuto tra la provincia di Ravenna e Milano e ritratto qualche giorno fa nella foto di un tweet con cui le unità curde che combattono a Kobane davano notizia della sua morte. Sul social network veniva comunicato che una donna-cecchino curda, all'inizio di febbraio, ha ucciso nel Kurdistan siriano il combattente «veneziano», tale Francesco, noto con l'appellativo di battaglia di Abu Izat al-Islam (ma secondo i suoi amici, invece, Naji sarebbe rimasto vittima di un raid aereo).

Dopo una segnalazione fatta al sito veneziatoday.it da una donna di Ravenna che, insieme al marito (un altro tunisino) aveva riconosciuto e frequentato il giovane uomo, si è giunti all'identificazione certa del morto. E si è saputo così che si trattava di un tunisino, non di un italiano. Che da Cervia (Ravenna), dove aveva vissuto e lavorato dal 2003 al 2008 come aiuto-bagnino e in una fabbrica di cinture, si era poi spostato a Milano dove avrebbe fatto, sempre secondo la testimone romagnola, «il barista».

«In realtà per noi ha fatto volantinaggio pubblicitario quando abbiamo aperto tra il 2013 e il 2014, è rimasto per un breve periodo di tempo, poi se n'è andato» ci spiegano sempre molto restii nella pizzeria».

Un ragazzo del locale si sbottona un po'. «Qui lui non ha mai parlato di islamismo, di fede insomma. Era un giovane immigrato che lavorava, punto. Certo: stupiva il fatto che un tipo del genere parlasse alla perfezione quattro lingue. Io l'ho visto anche fuori dal lavoro, era una persona come tante, un giovane spensierato, ma perbene. Quando abbiamo saputo che se ne andava ci è persino dispiaciuto. Qualche giorno fa è stata la polizia - con la quale abbiamo collaborato senza difficoltà ma sempre per quel poco che sappiamo di lui - a dirci chi fosse veramente e a informarci che era morto e dove. Qui siamo rimasti tutti stupiti. Semi un estremista islamico? Mah! E comunque il fatto che non ci fosse più, mi creda, ci ha molto rattristato. Per noi resta il ricordo di un bravo ragazzo».

Eppure, nonostante quel suo viso acqua e sapone, che - nonostante il kalashnikov che tiene a tracolla - fa sembrare una guerra tra le più terribili quasi un gioco, secondo le fonti investigative l'avvicinamento del tunisino con le frange più estreme dell'Islam, culminato nella sua decisione di arruolarsi per l'esercito dell'Isis, sarebbe avvenuto proprio a Milano. L'uomo, infatti, seppur incensurato, era noto alle forze dell'ordine per il suo fondamentalismo.

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