La chioma è sempre quella, fiammante. Ma Wanna non imbonisce, non si agita. Il tempo delle televendite è lontano, e un po' alla volta sta scivolando in archivio anche l'epoca del crollo, dell'arresto a furor di Striscia la notizia, del carcere. Ieri Wanna Marchi è solo una dei duecento pittori che sul Naviglo Grande stracolmo di gente espongono i loro quadri: a volte belli, a volte croste incommentabili. E gli acquarelli di Wanna non sono certo i peggiori.
Che il tempo sia passato, lo dimostra anche un dettaglio fino a pochi anni fa impensabile: nessuno, o quasi, la riconosce. Il fiume di gente scorre davanti al suo gazebo senza fermarsi. Wanna sembra uscita dall'immnaginario collettivo. A lei va bene così, le creme e il carcere fanno parte del passato, il presente è un bancone di bar dietro la stazione.
A ricordarle la galera, solo i quadri: 340, tutti piccoli, «perchè in cella il tavolino era grande così». Paesaggi di ricordi e di fantasia: marine, boschi, la casa di Castel del Rio. Le hanno insegnato a dipingere in carcere? «Macchè, ho fatto da sola. Quello è un inferno, non si impara niente».
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