L'assessore ha scontato già metà della pena. Ma senza il processo

A Lazzarini, ai domiciliari da 5 mesi, i pm hanno offerto di patteggiarne 11. Ha detto no

L'assessore ha scontato già metà della pena. Ma senza il processo

Sono passati cinque mesi e un giorno dalla mattina in cui la Procura di Busto Arsizio fece piazza pulita (e proprio così venne battezzata l'operazione, «Piazza Pulita») nel municipio di Legnano, arrestando in un colpo solo il sindaco, il vicesindaco e l'assessore ai Lavori pubblici. L'inchiesta è chiusa, e lunedì prossimo inizierà il processo: quali prove ci siano ancora da salvaguardare quindi non si capisce, né è comprensibile come i tre - il leghista Gianbattista Fratus e i forzisti Maurizio Cozzi e Chiara Lazzarini - possano delinquere ancora, essendo ormai tagliati fuori non solo dal Comune - che è retto da un commissario - ma anche da qualunque prospettiva di tornare alla vita politica. Eppure i giudici si rifiutano di liberarli. Restano agli arresti domiciliari, scontando di fatto una condanna che non è mai stata loro inflitta, per accuse di cui si proclamano innocenti.

L'ultima a chiedere di tornare libera per stare vicina al padre in fin di vita è stata la Lazzarini: la Procura ha finalmente dato parere favorevole, ma il tribunale (lo stesso tribunale che dovrà processarla e stabilire se è colpevole o innocente) ha già stabilito che è pericolosa, perché «la riattivazione della fitta rete di conoscenze e condizionamenti» potrebbe «concretamente incidere sulla serenità dei testimoni». Quindi niente da fare, la Lazzarini affronterà il processo da detenuta, e così dovranno fare Fratus e Cozzi.

Non è un trattamento consueto. Politici ben più potenti, ben più in grado di incutere soggezione ai testimoni (da Roberto Formigoni a Filippo Penati) hanno potuto affrontare le indagini e i processi a piede libero. Ma a rendere ancora più particolare la vicenda di Legnano è la sproporzione tra la detenzione che i tre indagati hanno già scontato e la pena che rischiano di vedersi infliggere. Meno di un anno di carcere.

Non è semplicemente una ipotesi. Nelle settimane scorse, la Procura della Repubblica di Busto ha contattato ripetutamente i difensori degli imputati proponendo loro di patteggiare la pena, evitando il processo. Alla Lazzarini sono stati proposti undici mesi di carcere con la condizionale, undici a Fratus, dodici a Cozzi. Tutti e tre hanno rifiutato, perché continuano a ritenersi e a proclamarsi innocenti, e intendono dimostrarlo in un pubblico processo. Di una comoda via d'uscita per limitare i danni, hanno fatto sapere, non sappiamo che farcene.

A colpire è semmai l'esiguità della pena che la Procura proponeva agli imputati specie se paragonata al risalto mediatico con cui - tra comunicati e conferenze stampa - venne annunciato il loro arresto. Alla Lazzarini, accusata di turbativa d'asta e turbativa di procedimento, pena massima fino a cinque anni, i pm offrono un supersconto di pena pur di convincerla a patteggiare.

L'ex assessore rifiuta. Ma il problema è che, comunque vada a finire il processo, metà di quegli undici mesi di detenzione la Lazzarini li ha già scontati. E anche se venisse assolta nessuno glieli restituirà mai.

Che la Procura fosse pronta, e anzi insistesse, per chiudere l'intera vicenda con pene appena sopra il minimo, potrebbe indicare che lo stesso pm titolare dell'inchiesta, Nadia Calcaterra, si rende conto di una certa fragilità dell'impianto accusatorio, e della difficoltà di sostenere in un processo la colpevolezza dei tre. Alcuni buchi logici della tesi della Procura d'altronde erano saltati all'occhio già in maggio dalla lettura dell'ordinanza di custodia. Dopo oltre un anno di intercettazioni a tappeto sia telefoniche che ambientali, la Guardia di finanza era riuscita a attribuire ai tre indagati solo due episodi di irregolarità nelle nomine di dirigenti comunali, e in nessuno dei casi erano emersi passaggi di denaro né interessi personali o di partito. Tra le nomine sotto tiro c'era quella del direttore generale dell'Amga, la principale azienda municipalizzata, che però secondo alcuni esponenti della maggioranza aveva il difetto di essere vicino al Pd. Ma parlando al telefono con la Lazzarini, Cozzi rispondeva netto: «Ma che cazzo c'entra se uno è del Pd o non è del Pd. Se uno è capace...». Mentre per la carica di direttore generale del Comune è la Lazzarini a indicare i criteri della scelta; «Vogliamo una persona superpreparata, soprattutto nelle partecipate e nel personale».

Ancora più surreale una delle accuse a Cozzi, che avrebbe truccato una gara per affidare una consulenza a un suo amico: ma si scopre che l'amico non presenta nemmeno la domanda, perché il compenso previsto è irrisorio.

Come per accuse di questo genere tre persone siano state tenute agli arresti per cinque mesi è un mistero.

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