di Marco Zucchetti
Nella Genova di Gino Paoli quattro amici al bar volevano cambiare il mondo. Nella Milano del Terzo millennio invece cinque amici hanno voluto cambiare i bar. O più precisamente - seguendo la strada segnata da Alessandro Longhin e Davide Martelli, pionieri del gin milanese con lo «Spleen et ideal» del loro Botanical Club all'Isola - si sono inventati il primo gin cittadino su larga scala. Un gin meneghino fin dal nome: Giass, come il ghiaccio che regala lo shining la «luccicanza» ad ogni long drink.
Ma cosa fa di Giass un «Milano dry gin»? Non gli ingredienti, dato che con zafferano e ossobuco non sarebbe venuto granché e che tra via Spadari, Brera e Corso Sempione di ginepro e coriandolo non ne cresce parecchio. E nemmeno il luogo di nascita, dato che viene distillato in Alto Adige. No, quel che garantisce il codice fiscale F205 di Giass sono la genesi, l'anima e il look. L'idea nasce da Expo, madre di tutti i recenti colpi di genio metropolitani, quando Andrea e Simonpietro Romiti (imprenditori del food), Francesco Niutta, Francesco Braggiotti e il barman-sciamano Richard D'Annunzio si mettono in mente di farsi il loro gin. Come gli olandesi del Seicento, ma meglio vestiti. L'intermediazione finanziaria che tutti e cinque hanno studiato all'università è interessante, ma passare sei mesi provando e riprovando, giocando agli alchimisti tra alambicchi comprati su Amazon, misurini e centinaia di ricette da assaggiare rischia di essere più divertente.
E dunque dopo essere partiti da rudimentali esperimenti con una lavastoviglie a 65°, alla fine si giunge all'Eureka ed ecco nascere Giass, combinazione di 18 botaniche made in Italy: ginepro, coriandolo e angelica le basi classiche; mele golden e scorze d'arancia essiccate per il lato fruttato; rosa, camomilla, violetta, zagare e karkadè per le magnifiche note floreali; mandorle di terra, menta e finocchio a dare un tocco minerale; verbena, cardamomo e melissa per un'aria erbacea; cassia e timo a mettere ordine con un tocco tannico-legnoso. Il diciannovesimo ingrediente ognuno lo trova da sé, si illude di sentirlo, gli viene suggerito dai ricordi. Chi scrive avrebbe scommesso sull'anice. Avrebbe perso, la memoria sensoriale è una strega dispettosa.
Ma al di là dei dettagli da speziali, com'è e dove si trova questo gin dall'elegantissima bottiglia serigrafata (opera di Valery Glass di Abbiategrasso) che riporta i motivi geometrici della Galleria Vittorio Emanuele II e l'icona del drago che sputa acqua delle «vedovelle»? È aromatico, di una gradevolezza olfattiva abbacinante: la pulsione è di metterne una goccia dietro l'orecchio, altro che Chanel N. 5. Poi però rinsavisci e lo assaggi: balsamico, floreale perfino in bocca, camomilla e salvia, finocchietto e karkadè, fino al cremoso finale di violetta. Non un monolite tradizionale, ma una polifonia a cui il tonic non rende merito, come un concerto classico in un palazzetto. Meglio liscio - o con giass - per apprezzarlo.
Per trovarlo, invece, basta entrare in uno dei tanti locali che lo ospitano nelle loro bottigliere: Bobino, Bistrot Provencçak, Gin012, Pandenus, Enoteca Cotti...
E c'è da scommettere che la recentissima medaglia d'argento alla San Francisco World Spirit Competition sarà un'ulteriore spintarella. Tutti pazzi per il primo gin in cui Milano diventa un vero e proprio marchio, simbolo di una città europea che torna ad essere da bere, ma che ne approfitta per diventare sempre più da vivere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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