Le librerie vanno difese perché sono beni culturali

(...) Leggere Kant o Hegel è utile per capire qual è il peso specifico di una riflessione filosofica di Roberto Saviano (cito un maître-à-penser a caso). Leggere Tocqueville ci illumina sul valore del pensiero politico di statisti come Di Pietro o Fini.
La cultura serve, insomma, al presente, e un Bene Culturale è «bene» esattamente per questo. Perciò è indispensabile che il Comune di Milano, e con lui il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si pongano seriamente il problema delle librerie individuando le soluzioni adeguate: non è impossibile, serve soprattutto la buona volontà.
Non solo le istituzioni, ma anche i grandi sponsor si devono porre una domanda analoga. I responsabili culturali, ad esempio, dell'Eni non possono pensare che il loro compito si possa ridurre alla ricerca di un buon ritorno d'immagine. Che cultura producono le loro esposizioni a Palazzo Marino? Cosa resta - non a loro, ma a noi - di tali iniziative? Finita la kermesse, rimane poco e nulla: qualche notizia al massimo, nessuna vera conoscenza. Cultura pro domo sua, insomma. Già gli arroganti ed egoisti signori rinascimentali sapevano fare di meglio, per la gente.
Dobbiamo evitare a tutti i costi che il centro di Milano si riduca a un deserto fatto di uffici, bar, paninerie, negozi di abbigliamento, pizzerie. Tutto questo va benissimo, ma è proprio dentro questo tessuto che va inserito a forza il dibattito culturale. Io non ho nulla contro la periferia, però il trasferimento della cultura di libreria mi sa tanto di confino, di quartiere dedicato, come i quartieri a luci rosse: i templi del vizio, insomma.

Come dire: c'è chi ha il vizio del sesso, chi quello della Storia dell'Arte.
Io credo che persone come l'assessore Boeri conoscano bene questo problema e chiedo a loro, come chiedo a me stesso, un impegno forte di fronte a un problema prioritario come questo.

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