Libro, il ritorno di un Salone che Milano perse 30 anni fa

In molti pensarono che Torino non ce l'avrebbe fatta Ora la nuova sfida di Associazione editori e Fiera

Quando, annunciato un anno prima, il Salone del libro di Torino esordì nel luglio del 1988 nei locali di Torino Esposizioni (il Lingotto era ancora sede della Fiat), a Milano, riconosciuta capitale dell'editoria, tutti fecero spallucce. Dal sindaco Paolo Pillitteri al presidente di Assolombarda Ottorino Beltrami fino ai principali editori come Mondadori (allora di Carlo De Benedetti), Rizzoli e Feltrinelli, tutti ma proprio tutti si dissero sicuri che si trattava di un patetico e velleitario tentativo destinato ad un inevitabile flop.

Come volete che finisca si diceva un'iniziativa presa da un libraio, Angelo Pezzana, militante radicale fondatore del Fuori, «Fronte unitario omosessuali rivoluzionari italiani» e da un imprenditore non di primissima fila come Guido Accornero padrone di un terzo della Einaudi? Ma non tutti la pensavano così e sollecitato da una parte dell'opinione pubblica milanese, Pillitteri tentò inutilmente un recupero. Era troppo tardi e il Salone restò a Torino. Nel corso di questi trent'anni molti e sotterranei sono stati i tentativi di portare nella sua sede d'elezione la principale manifestazione italiana dedicata al libro, ma non si arrivò mai al dunque.

Per diverse ragioni: per pigrizia, «vai avanti tu no, vai avanti tu», per fair play nei confronti della ex capitale sabauda, per calcoli politici. Finché non si è creata e non da quest'anno ma da tempo una congiuntura che imponeva la scelta, una combinazione di diversi fattori. In particolare: da una parte il crescente malcontento dell'Aie, l'associazione degli editori, per le caratteristiche della manifestazione giudicate un po' provinciali, per i costi considerati eccessivi e per le difficoltà logistiche. Dall'altra l'interesse sempre più marcato di un possibile partner forte, fortissimo come FieraMilano. Quando infine alla crisi finanziaria della manifestazione si sono sovrapposti i guai giudiziari, è stato chiaro che era il momento di rilanciare la candidatura della vera capitale dell'editoria e della lettura, di trapiantare qui il Salone in una forma più vasta, internazionale e articolata e soprattutto, ciò che interessa di più agli editori, con maggiore attenzione alla promozione della lettura. Non bastarono a salvare la situazione, nonostante il grande successo di questa edizione 2016, gli sforzi eroici e l'intelligenza di Giovanna Milella, ultima presidente della Fondazione chiamata al capezzale dell'inguaiatissima manifestazione. Il progetto di Aie e FieraMilano era pronto da tempo, i partner aspettavano solo il momento opportuno per presentarlo: dopo le elezioni di Torino e Milano, perché la campagna elettorale non interferisse.

Inevitabile la polemica con marcati e sgradevoli accenti campanilistici. Ma anche politici, e questo è l'aspetto più fastidioso della questione, in particolare della posizione torinese: se la proposta milanese è fatta da due «privati» che, certo, con la politica dialogano - il baraccone torinese è ormai totalmente nelle mani della politica e non solo per i contributi pubblici. Politici sono stati gli interventi in sua difesa, da quello di Chiamparino a quello di Franceschini fino a quelli patetici della neo sindaca Appendino che ha protestato per il trasferimento del Salone a Milano, ma non per quello in Olanda della cassaforte degli Agnelli. Infine politico indicato dalla politica (romana) è il nuovo presidente designato della Fondazione, il dalemiano ex ministro Bray.

Ecco, forse un confronto fra due entità del tutto autonome dai Palazzi locali e nazionali avrebbe dato a questa vicenda un carattere di maggiore sincerità, mettendo in primo piano qualcosa di cui l'Italia ha un grandissimo bisogno: la promozione della lettura.

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