«La blocco subito: di questa storia non vogliamo parlare. Mai più».
La famiglia di Maddalena «Madi» Calabria si chiude dietro il secco e definitivo «no comment» della moglie di suo fratello Giampaolo, la cognata Bruna Sala. Che, da Molteno (Lecco) tronca subito ogni comunicazione su una vicenda dolorosa e complicata, iniziata il 21 maggio del 1993 e mai finita nonostante, in tutto questo tempo, non siano mancati incredibili colpi di scena. Una scomparsa che cerca verità e giustizia inutilmente da quasi vent'anni. Nel dicembre 2001, infatti, i resti del cadavere della povera Madi (come stabilirono ben tre autopsie: quella decisiva, del novembre scorso, porta la firma di Cristina Cattaneo, la nota anatomopatologa dell'istituto di medicina legale di Milano, ndr) vennero ritrovati sotto un metro di terra accanto al muro di cinta del cimitero di Tavernerio (Como), un luogo particolarmente isolato tra i boschi che salgono sulle pendici del monte Bollettone. Tuttavia la giustizia ancora deve stabilire con certezza colpe e colpevoli. E la famiglia, tuttora col fiato sospeso tra verità, lungaggini giudiziarie e infinite illazioni, preferisce il silenzio.
La sera in cui sparì per sempre dalla sua abitazione di Molteno Maddalena - domestica a ore, sposata con Sergio e madre di Beatrice - aveva 39 anni e tanta paura. Appena un mese prima, la mattina del 25 aprile, la sua normalissima, quasi anonima vita, era stata sconvolta. Era stata infatti sorpresa, picchiata, legata a una seggiola e imbavagliata da due banditi che avevano fatto irruzione nella casa in cui prestava servizio a Oggiono, la villa dell'industriale Luciano Fumagalli e messo a segno un colpo fruttato, tra contanti e gioielli, 100 milioni di vecchie lire. All'epoca la sparizione della domestica fece scalpore: la donna non era stata più la stessa dopo quel fattaccio e, in un primo tempo, si temeva s che, in preda a un momento di depressione, si fosse tolta la vita. Così furono in molti a cercarla: famigliari, inquirenti, amici. Ma anche tante, tantissime persone che, pur non conoscendola a fondo, provavano pietà per quella povera donna sconvolta e, forse, bisognosa di aiuto.
Un vero mistero la sparizione di Maddalena: nessuna certezza, nessuna idea, nemmeno un indizio. Solo un'amica della donna, Maria, continuava a dirsi certa che Madi non se n'era andata di propria iniziativa. «È stata una vendetta di quei banditi, quelli che l'hanno trovata nella villa: li ha visti in faccia, Maddalena viva per loro rappresenta un pericolo» sosteneva convinta la donna. Purtroppo le sue parole si persero insieme a quelle di chi, senza uno straccio di prova, si era convinto, al contrario, che la povera domestica potesse essere stata una complice di quei malviventi. Un «palo», un punto d'appoggio consapevole, insomma. Utilizzato a dovere e poi eliminato. Parole, queste, che ferirono profondamente la famiglia di Madi, un nucleo cristallizzatosi attorno a quella tragedia: il marito, Sergio, continuò a vivere a Molteno, nello stesso condominio al centro del paese dove aveva abitato con la sua Madi. La figlia Beatrice si fece una famiglia e andò a vivere a Londra.
Nove anni dopo, nel dicembre del 2001, il primo colpo di scena. Enorme. Inimmaginabile. Nel corso degli scavi per la risistemazione del campo santo di Tavernerio, in provincia di Como, venne ritrovato un cadavere di donna avvolto in un lenzuolo, semi mummificato. Le scarpe, le calze, la fantasia della gonna, riportarono subito a galla la misteriosa sparizione di Maddalena Calabria. Purtroppo la Procura di Como non aveva moltissimi elementi su cui lavorare. Il tribunale lariano aprì un fascicolo per omicidio contro ignoti, dispose una autopsia affidandone l'incarico a un anatomopatologo, ma alla fine si arrese, costretto ad archiviare con un nulla di fatto. L'esame non consentì infatti di chiarire né le cause né le modalità della morte, e meno che mai l'identità della donna.
La scomparsa di Madi ripiombò nel silenzio. Fino all'ottobre scorso. Quando la Repubblica di Lecco, per la scomparsa e l'omicidio di Maddalena, ha iscritto sul registro degli indagati Fabio Citterio, 45 anni, di Lurago d'Erba e sua cugina Tiziana Molteni, 53enne, di Dolzago, nel Lecchese, già indagati per l'omicidio di Antonio Caroppa, un operaio ammazzato cinque mesi prima, il 10 maggio, nel garage di casa a Paderno D'Adda. La vicenda è piuttosto ingarbugliata, ma di fatto, indagando su Paderno, i pm lecchesi si sarebbero imbattuti nelle rivelazioni di un pentito che racconta particolari e dettagli all'apparenza incontrovertibili.
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