Malangone riabilitato dalla Corte d'appello Adesso tocca a Maroni

Il governatore giudicato per la stessa vicenda Ma per i giudici «il reato non è mai esistito»

Malangone riabilitato dalla Corte d'appello Adesso tocca a Maroni

Non è solo Christian Malangone, ex direttore generale di Expo, a venire riabilitato dalla sentenza della Corte d’appello che il 13 settembre lo ha assolto dall’accusa di corruzione per induzione. Le motivazioni della decisione, depositate ieri dal giudice Guido Piffer, fanno irruzione a piedi uniti in un altro processo, assai più delicato per le implicazioni politiche, quello a Roberto Maroni. Il presidente della Regione è accusato esattamente dello stesso reato contestato a Malangone l'arruolamento in una missione a Tokio di Maria Grazia Paturzo, funzionaria Expo nelle grazie di Maroni.

Ebbene: la sentenza dice che quel reato non è mai avvenuto. I tentativi di imbarcare la Paturzo in business class per il Giappone vi furono, ma non costituirono mai un reato, perché né Maroni né il suo staff esercitarono pressioni o minacce di alcun tipo. D'altronde i giudici d'appello si dicono convinti che di minacce non ci fosse alcun bisogno, perché l'okay al viaggio della Paturzo era venuto dal grande capo di Expo, Beppe Sala. Alle dichiarazioni con cui l'attuale sindaco ha sempre negato di avere dato il via libera i giudici attribuiscono «profili di incongruenza», contestando a Sala «una posizione equivoca» sull'intera vicenda. «Detta incongruenza può essere superata solo affermando che in realtà il giorno 28 Sala avesse finito per cedere alle insistenze di Maroni».

I passaggi cruciali sono proprio quelli dedicati al comportamento di Maroni. Malangone era accusato di avere prenotato il volo in business e l'albergo a 5 stelle per la Paturzo cedendo alle pressioni del governatore in vista di vantaggi di carriera. Ma per i giudici «non vi fu la prospettazione a Malangone di alcun vantaggio indebito», e nemmeno c'è la prova della «prospettazione di un danno ingiusto». Insomma, dallo staff del governatore arrivò una richiesta «aperta e perentoria»: e una richiesta non è reato, se non accompagnata da promesse o minacce. Il vantaggio ottenuto da Maroni, d'altronde, durò poche ore, visto che il viaggio a Tokio venne annullato subito dopo essere stato prenotato: una vicenda, per i giudici, «nemmeno minimamente paragonabile» all'altro favore chiesto e ottenuto da Maroni, l'assunzione della Paturzo in Expo, che però per la Procura non presenta alcun aspetto illecito.

Malangone è innocente, dunque: e si può pacificamente dire che se Maroni fosse stato giudicato dagli stessi giudici, sarebbe stato assolto anche lui. Invece i due hanno scelto vie processuali diverse, i loro cammini si sono separati, e così il processo a Maroni è ancora al primo grado, davanti alla quarta sezione del tribunale che l'8 novembre lo interrogherà in aula. Tecnicamente la sentenza che ha assolto Malangone non vincola i giudici che processano Maroni. Ma è chiaro che a questo punto condannare il governatore vorrebbe dire creare due verità processuali in aperto e inaccettabile contrasto tra di loro. Difficile che il tribunale che sta processando il presidente della Regione voglia assumersi una simile responsabilità.

Certo, a carico di Maroni esiste un'altra accusa, relativa all'assunzione a Eupolis di un'altra sua fidata collaboratrice, Mara Carluccio.

Ma lì l'imputazione è di turbata libertà contrattuale, che anche in caso di condanna non porterebbe alla decadenza del governatore dalla sua carica: che è poi la vera partita politica in gioco intorno a questo tormentato processo.

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