"Il Manzoni? È già pronto per la prossima stagione"

Il direttore Arnone: "Per noi privati è più dura. Ma gli abbonati non ci hanno abbandonato"

"Il Manzoni? È già pronto per la prossima stagione"

Il sipario della stagione 2019/20 del Teatro Manzoni è calato, per l'ultima volta, dopo il divertente spettacolo di Teresa Mannino Sento la terra girare. È stata una delusione, per il pubblico, soprattutto per gli abbonati, dover rinunciare allo spettacolo di Luca Argentero È questa la vita che sognavo da bambino? e anche a quelli successivi previsti dalla programmazione in corso. Alessandro Arnone, direttore generale della storica sala di via Manzoni, non si è perso d'animo: «Posso rincuorare la nostra platea perché è solo una questione di tempo, visto che sia il monologo di Argentero, sia il Don Chisciotte con Alessio Boni, così come Se devi dire una bugia dilla grossa con Paola Quattrini, Antonio Catania e Gianluca Ramazzotti, sono slittati alla prossima stagione». Perché il direttore aveva già quasi chiuso la programmazione del cartellone 2020-2021. «Proprio in questi giorni, ho riorganizzato il calendario che, finalmente, grazie a questi inserimenti, può dirsi definitivo». Non si è di certo perso d'animo Arnone, grazie anche alla disponibilità delle compagnie, trovando una soluzione congeniale a tutti. «Il nostro pubblico è stato comprensivo e si è limitato a domandare informazioni. Essendo un teatro privato e di ospitalità, godiamo solo in minima parte di contributi pubblici e anche la gestione di questa emergenza, dal punto di vista economico, è sempre più difficile». E il personale? «Il nostro personale continua a lavorare con la modalità dello smart working. I nostri tecnici hanno lavorato fino allo scorso decreto occupandosi della manutenzione della sala e della parte tecnica, svolgendo lavori che, in genere, vengono portati a termine nei mesi di chiusura estiva, ma sempre di corsa. Ora stanno tutti a casa perché la loro tutela è più importante». Chissà come avrebbe reagito la signora Walda Foscale, Presidente onorario del teatro, scomparsa nel 2018, di fronte a questa emergenza. «Si sarebbe messa a piangere: vedere il suo teatro vuoto e silenzioso l'avrebbe ferita». Voce prestigiosa di un teatro di produzione è Fioravante Cozzaglio, direttore artistico del Teatro Carcano, che sta affrontando la chiusura della sua sala seguendo un percorso diverso, rispetto a quello intrapreso da Arnone. «Questa emergenza ha provocato un disastro economico anche a noi, ma non ho voluto chiedere la carità agli spettatori: con loro abbiamo voluto mantenere un rapporto corretto. I veri critici, per me, sono proprio i nostri fedeli spettatori, con i quali abbiamo voluto mantenere e consolidare un rapporto di fiducia». Del resto, per l'intero settore teatrale, è fondamentale non perdere il filo con il proprio pubblico; così come è importante non tralasciare la fiducia del personale e delle banche, la continuità di lavoro con le istituzioni e, ovviamente, con la programmazione. «Tornando al discorso del pubblico, ecco perché, avendo il Ministero decretato sull'utilizzo di voucher, mi atterrò a questa disposizione. Inoltre, gli spettacoli di prosa che non sono stati rappresentati a causa dell'emergenza sono stati inseriti nella prossima programmazione. Quindi, il nostro pubblico non resterà deluso» E per la gestione del personale? «Sono tutti a casa e stanno collaborando. Nessuno perderà il lavoro e stiamo studiando le opportunità per ammortizzare le perdite che, euro più euro meno, si attestano attorno al mezzo milione di euro. Tra i nostri interlocutori principali ci sono anche le banche che sembrano essere disponibili a rimandare il pagamento delle rate di quel mutuo che abbiamo acceso per l'acquisto dell'immobile. Un milione e 300mila euro di debito non sono briciole. Sappiamo, inoltre, che il Ministero ha predisposto, per il settore cultura una cifra pari a 130 milioni di euro, di cui una parte andrà ai teatri. Ora stiamo cercando di capire quanti ne saranno destinati al Teatro Carcano».

In sostanza, c'è la necessità di un intervento della collettività nei confronti dei teatri, soprattutto quelli privati che, altrimenti, sarebbero tutti costretti a chiudere dopo una crisi di cui al momento non si vede la fine.

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