L'attenzione e la fiducia che non ebbe in vita, Lea Garofalo le riceve ieri. Ieri quando per lei è ormai troppo tardi, perché ne rimangono solo i pochi resti dati alle fiamme, sepolti in un terreno e ritrovati solo durante il processo ai suoi assassini. Ma quando si può ancora sperare che il grande funerale laico che Milano le tributa possa servire di speranza a chi, nel mondo della malavita, volesse seguire il suo esempio. Come se oggi le istituzioni e la società dicessero: fate come Lea, abbiate coraggio, denunciate; voi non verrete lasciati soli. Sperando che sia vero.
In piazza Beccaria ieri mattina c'era una folla superiore ad ogni attesa, ai funerali civili di Lea Garofalo, uccisa quattro anni fa da suo marito Carlo Cosco e dai suoi complici, gli uomini del fortino malavitoso di via Montello. Cosco e gli altri sono all'ergastolo, al termine di un processo in cui hanno cercato in ogni modo di ridimensionare le proprie colpe. E Cosco, che pure ha confessato di averla uccisa, ha negato in ogni modo di averla uccisa per punirla di avere parlato e di avere rovinato la sua reputazione di boss diventando «testimone di giustizia».
Ma che lì, nella sua scelta di collaborare con lo Stato, stiano i motivi della condanna a morte di Lea Garofalo, il processo lo ha dimostrato senza ombra di dubbio. Ma ha anche raccontato come solo la solitudine della donna, nel suo sentirsi abbandonata dallo Stato, abbia permesso a Cosco di organizzare e realizzare pervicacemente il suo progetto. La sorella di Lea, Marisa, lo ha detto ieri senza eufemismi di circostanza: «Avrei voluto che un po' di queste attenzioni le avesse avute in vita. Ne avesse avute un decimo di queste e sarebbe ancora viva». E, nel meno retorico degli interventi della giornata, lo dice anche la responsabile antimafia del Pd, Pina Picierno: «Abbiamo oggi il dovere di ricordarla, di ricordare la sua storia, la sua solitudine, la sua sofferenza. Abbiamo il dovere di chiederle mille volte scusa, perché tutti, istituzioni, politici, cittadini, abbiamo un debito enorme nei confronti di questa giovane donna e di sua figlia».
La bara di Lea Garofalo è arrivata in piazza Beccaria portata in spalla dal sindaco Giuliano Pisapia e da don Luigi Ciotti, fondatore di Libera.
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