di Carlo Maria Lomartire
La Prima della Scala rimane una delle più efficaci rappresentazioni dello stato d'animo, della condizione psicologica della città. Non è necessario assistere alla rappresentazione, privilegio riservato a pochi eletti o appassionati, per compiere questa lettura, questa interpretazione. Anzi è meglio guardare dall'esterno, dalle strade e dai locali della città, sentire le battute della gente, i commenti dei poliziotti in servizio d'ordine davanti al teatro, leggere i titoli dei giornali. Non è neppure il caso di tornare troppo indietro nei decenni, basta partire da una data fatidica, il 1968. Fino a quel 7 dicembre la Prima rappresentava, oltre che un evento culturale unico, l'apice della mondanità milanese: lusso (fin troppo), esibizione di potere economico, certificazione di status sociale e di prestigio. Ma quell'anno - si erano già visti i primi bagliori della protesta studentesca e operaia - arrivò davanti al teatro un certo Mario Capanna, esordiente leader della contestazione, che insieme ai suoi compagni prese a lanciare uova marce e pomodori contro le signore impellicciate e super-ingioiellate e contro i signori in smoking. Da allora qualche forma di protesta, più o meno civile, più o meno rumorosa e aggressiva, in occasione della Prima non è mai mancata sulla piazza che dal teatro prende il nome. Col debutto scaligero di Capanna, comunque, era ufficialmente cominciato il Sessantotto e nessuno poteva allora immaginare che sarebbe durato più di un decennio, lasciandosi dietro una scia di sangue e deliri ideologici. Da allora, per tutti gli anni '70 e salvo poche eccezioni, alla Scala niente più «abito lungo per le signore e cravatta nera per i signori». Il gusto del lusso esibito e dello sfarzo pubblico tornò nei primi anni '80. Per chi voleva capire, era l'annuncio della «Milano da bere». Le proteste ripresero vigore, e così certi commenti astiosi della gente comune, nei primi anni '90, con la finanza aggressiva e le battaglie per la conquista di imperi aziendali, dalla Mondadori a Enimont: perciò vedere alla Prima Carlo De Benedetti o Raul Gardini era come vedere delle star negli anni '50; contestarli era una presa di posizione politica. Proteste al grido di «ladri!», annuncio del crepuscolo della Prima Repubblica, travolta dagli scandali e dalle inchieste di Mani Pulite. Nel 2004, dopo due anni di chiusura per i più imponenti lavori di restauro della sua storia - esclusa, ben inteso, la miracolosa ricostruzione del 1945-46 - la Prima nella «nuova» Scala era il segnale della grande trasformazione urbanistica che stava investendo Milano: Porta Nuova-Garibaldi, la vecchia Fiera-Portello, Santa Giulia-Rogoredo, lo skyline della città stava per cambiare come era cambiato quello del teatro.
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