Mirò, l'artista che distrusse la pittura con il cavalletto

Sculture e le opere su carta, legno e tessuto Tanti capolavori dal 1930 agli anni Ottanta

Francesca AmèSi comincia a suon di musica, con il «Blues for Joan Mirò» improvvisato da Duke Ellington dopo aver conosciuto il celeberrimo artista catalano. Si prosegue con un allestimento scuro, essenziale, in cui i dipinti, le opere su tavola e le sculture in bronzo di Joan Mirò, paiono prendere vita: «Joan Mirò. La Forza della Materia» (da oggi all'11 settembre, www.mudec.it) al Museo delle Culture di Milano è una sorta di immersione nel poliedrico ingegno di questo artista che ha segnato la storia del Novecento. È un'immersione che si compie vedendo sfilare, una dopo l'altra, cento opere-capolavoro (la maggior parte delle quali provenienti dalla Fundació Joan Mirò di Barcellona, ma anche da generosi prestiti di collezionisti privati): «È una mostra magica, in cui le opere paiono illuminarsi da sole in questo ambiente scuro e accogliente», commenta Joan Punyet, nipote dell'artista e profondo conoscitore della sua opera: è lui a firmare il primo saggio nel catalogo della mostra (24 ore Cultura edizioni) il cui titolo, «La poetica dell'esistenziale», dimostra quanto complessa, meditata e raffinata fosse l'arte di un artista a torto ritenuto un campione dell'improvvisazione.Nulla è lasciato al caso nell'esecuzione delle opere di Mirò: i suoi «sogni», quelle composizioni oniriche in cui dominano pochi colori, di solito il rosso, il blu, il giallo, il nero, sono figli di un lirismo che parte dell'osservazione attenta degli oggetti e dell'ambiente che circonda l'artista. Lo spiegano bene anche le isole multimediali inserite nella mostra: non un orpello, ma uno strumento utile a portarci, grazie agli occhiali a realtà virtuale, dentro l'atelier di Mirò a Palma di Maiorca, per capire come mescolava i colori, come studiava la luce, come traeva spunto dagli oggetti della campagna per realizzare le sue opere.Artista poetico Joan Mirò (1882-1983), ma anche concreto, «contadino» (come si definiva): la materia è la regina incontrastata del suo creare, è da lei che tutto ha inizio. In questa mostra curata dalla Fondació Mirò di Barcellona con Francesco Poli seguiamo lungo quattro distinte sezioni la produzione dell'artista dagli anni Trenta agli anni Ottanta. Ciò che colpisce, in tutte le sale, è la forza dell'innovazione, la ricerca spasmodica, quasi ossessiva di sperimentare forme, tecniche, materiali: Mirò non amava la pittura tradizionale («Voglio assassinare la pittura da cavalletto», diceva) e così dipingeva su carta, su legno, sui tessuti. Quando sono gli anni della dittatura di Franco si trasferisce a Palma di Maiorca dopo essere stato a Parigi con amici quali Pablo Picasso, Mirò respira di nuovo la libertà: torna alle origini della sua terra natale, la Catalogna, rielabora in modo originale alcuni temi ricorrenti (il corpo di donna, gli uccelli, le costellazioni), si concede a un gesto pittorico più libero, quasi un action painting. Arriva persino, settantenne all'apice della carriera, a «martoriare» le sue tele: a bruciarle, lacerarle, perforarle perché il senso ultimo della sua arte è far sentire la forza creatrice. Incredibile la potenza che Mirò, anche in tarda età, conserva: notevoli la sua energia e versatilità.

Spiccano in mostra al Mudec le sculture in bronzo: Mirò girava per casa, trovava qualche oggetto che ne solleticava l'attenzione, giustapponeva gli oggetti tra loro e li fondeva in cera e poi in bronzo. Lirico e soave solo in apparenza, Joan Mirò è in realtà artista-demiurgo, un artigiano della materia: è morto 33 anni fa, ma è ancora straordinariamente contemporaneo.

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