«Mi piacerebbe essere presente all'inaugurazione di Expo, ma non sono ancora stata invitata». C'è del dispiacere e molta malinconia nelle parole di Letizia Moratti ieri, durante una presentazione del Fuorisalone dedicata al progetto Barrique della comunità di San Patrignano di cui è dal 1978 anima e inesauribile finanziatrice. «Il ministro Maurizio Martina mi ha chiesto di partecipare, ma finora non ho ricevuto nessun invito», ha ripetuto ai giornalisti che per la prima volta sentivano da lei simili frasi. Perché mai la Moratti in tutti questi anni si era lamentata delle troppe dimenticanze di chi nei tanti appuntamenti dedicate all'evento non le aveva mai riservato un posto sul palco. E nemmeno in prima fila. Difficile, infatti, anzi impossibile non riconoscere che quell'Expo portata in Italia contro i pronostici (e forse anche la volontà) di tutti è una sua creatura. Che nessuno, se non lei, sarebbe potuta riuscire nell'impresa di convincere 86 Paesi in tutto il mondo a scegliere Milano e non la turca Smirne che si fermò a 65. Non una cittadina qualunque, ma la candidata scelta da un Paese il cui Pil in quegli anni cresceva con ritmi vicini alle due cifre. E gli Usa decisi a tenersi buona la Turchia per controllare lo scacchiere asiatico, ma anche tanta parte dell'Europa pronta a barattare l'Expo con un ritardato ingresso nell'Ue. Fu la Moratti a incaponirsi, mettendo insieme la squadra affidata al suo braccio destro Paolo Glisenti, con l'ambasciatore Claudio Moreno, il responsabile delle Relazioni internazionali del Comune Andrea Vento, Gaetano Castellini, Filippo De Bortoli, Roberto Pesenti. Alcuni alla fine contarono in un anno i chilometri necessari a fare sedici volte il giro del mondo e fu la stessa Moratti a non risparmiarsi. In ogni senso, visto che usava l'aereo di famiglia. Proprio per questo risulta chiaro quanto orgoglio ferito ci sia stato nella sua uscita di ieri quando la speranza di un invito è ridotta a un lumicino ormai spento. Ci saranno, invece, i tanti parvenu pronti a saltar sul carro. Gente che quando nel marzo 2008 la Moratti ballava a Parigi un indiavolato boogie-woogie con un enorme diplomatico africano per festeggiare la vittoria, per sapere cosa fosse l'Expo avrebbe dovuto andare sull'enciclopedia. Per non dire di quella indefessa rete diplomatica tessuta per realizzare una serie mai vista di progetti di cooperazione internazionale e promuovere lo sviluppo (economico, ma anche sociale) nei Paesi più bisognosi di aiuto.
«Più si scava in profondità nel tema di Expo e più si capisce quanto l'Italia, proprio negli anni in cui iniziava la crisi, abbia avuto lungimiranza a candidarsi», ha avuto il coraggio di dire ieri Martina, diventato nel frattempo ministro del Pd. Dimenticando quanto la sinistra remò contro quella candidatura. Quanta indifferenza, se non opposizione, ci fu al lavoro della Moratti. Ed è impossibile, oggi che l'Expo deve fare i conti con le rinunce all'inaugurazione perfino del presidente della Repubblica Sergio Mattarella (con Papa Francesco che neppure nei sei mesi verrà), non ricordare la Moratti che in nero Armani e Swarovski, per il Tristan und Isolde del sant'Ambrogio 2007 alla Scala accoglieva cinque capi di Stato tra cui Giorgio Napolitano, diciannove ministri esteri e quattro italiani, dieci sindaci stranieri. Fu tappeto rosso per i presidenti di Germania Horst Koehler, Austria Heinz Fischer, Grecia Karolos Papoulias e per l'emiro del Qatar, lo sceicco Hamad Bin Khalifa Al-Thani accompagnato dalla figlia e dalla splendida (e coltissima) moglie, la sceicca Mozah Bint Nasser. Poi cena per novecento nel chiostro di Palazzo Marino allestito dagli architetti Roberto Peregalli e Laura Rimini come un salone rinascimentale adornato di velluti, broccati e dodici preziosissimi tappeti turchi del Cinquecento. Soldi buttati, protestò la sinistra.
«Li hanno messi gli sponsor», rispose la Moratti che pochi mesi dopo vinse l'Expo. Portando Milano in tutto il mondo.Oggi, invece, arriva il premier Matteo Renzi. Per lui visita privata (e senza giornalisti) al sito Expo di Rho-Pero.
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