Cronaca locale

Morta incinta, il pm chiede di archiviare

Claudia aspettava due gemelle: per l'accusa non è certo che si sarebbe potuta salvare

Si è chiusa con una richiesta di archiviazione per due dottoresse e due ostetriche l'inchiesta sulla tragedia di Claudia Bordoni, la donna morta lo scorso 28 aprile alla clinica Mangiagalli insieme alle due gemelle che aveva in grembo. Un epilogo che viene motivato dal pm Maura Ripamonti con gli esiti di una consulenza dalla quale è emerso che «non si può dire con certezza» che madre e bimbe si sarebbero salvate qualora fossero stati effettuati interventi tempestivi.

Al di là degli esiti della giurisprudenza, la storia di Claudia riecheggia ancora nei corridoi della clinica. Tutti i medici e gli assistenti che cercarono di salvarla hanno ancora ben impresso nella mente lo strazio, i tentativi di tenerla in vita e, in ultima battuta, la corsa contro il tempo per salvare le due gemelline. Il tutto inutilmente, con una tragedia che si consumò in una manciata di minuti senza riuscire nemmeno ad arrivare alla sala parto. La donna, 36 anni, arrivò alla Mangiagalli due giorni prima del decesso, dopo essere stata dimessa dal San Raffaele e dall'ospedale di Busto Arsizio, e in preda a forti dolori addominali. Ricoverata nel reparto di Patologia della gravidanza di via della Commenda, è morta a causa di una violenta emorragia interna. Secondo la ricostruzione di una prima consulenza, depositata a novembre e effettuata dal medico legale nominato dal pm Dario Raniero, l'emorragia della donna sarebbe stata causata da una grave endometriosi, una malattia che colpisce il tessuto dell'utero, spesso causa sia di infertilità sia di emorragie. La consulenza però ipotizzava l'assenza di un nesso di causalità tra l'operato degli indagati e il decesso. Di segno opposto le conclusioni raggiunte dalla consulenza disposta dalla famiglia della donna (che infatti si opporrà all'archiviazione) in base alla quale invece sussisterebbe un legame certo tra morte e condotte del personale sanitario. Gli esiti della terza perizia, quella disposta dalla Procura, confermano la difficoltà di stabilire un nesso diretto tra il comportamento dei medici e la morte della donna. Ci sarebbero state delle «probabilità considerevoli» di sopravvivenza della paziente qualora i medici si fossero comportati in modo diverso. Ma non si può dire con assoluta certezza.

MaS

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