«Moschee, il Comune sta sbagliando tutto»

«Moschee, il Comune sta sbagliando tutto»

«Il Comune sta sbagliando. Scelte e interlocutori». Mahmoud Asfa, leader della Casa della cultura islamica di via Padova, voce storica dell'Islam milanese, si dice deluso. È arrabbiato, preoccupato. Le polemiche del Ramadan all'Arena non lo sorprendono. Anzi, per lui sono la conferma di una linea improvvida di Palazzo Marino, che invece di disinnescare i problemi potrebbe acuirli, fino a fargli paventare la possibilità di una «primavera araba in via Padova».
La festa organizzata domenica dal Caim, il Coordinamento delle associazioni islamiche (di cui la «Casa» di via Padova non fa parte) è stata anticipata dagli attacchi al sindaco - che ha rifiutato di partecipare - e poi segnata dall'incidente con la Curia, che prima di un intervento «diplomatico» ha accusato i dirigenti islamici di aver sostanzialmente ignorato, o «cestinato», la lettera dell'arcivescovo. E secondo Asfa non sono un caso queste polemiche, ma il risultato di una scelta precisa di Palazzo Marino, che ha privilegiato altri interlocutori. «Il messaggio di Scola - fa notare il direttore della moschea più antica di Milano - noi lo abbiamo letto con grande piacere. Noi abbiamo una storia, una credibilità, una linea equilibrata e responsabile. E gli amministratori la conoscono, eppure continuano a parlare con altri, che hanno altre visioni».
Per capire i distinguo si deve tenere presente che l'Islam milanese è tutto tranne che un monolite. Ci sono realtà, associazioni, sedi, linee, riferimenti etnici e religiosi diversi. E spesso in competizione fra loro. Va da sé che la festa dell'Arena, organizzata dal Caim con l'istituto islamico di viale Jenner, non era l'unica domenica a Milano. È stata la più partecipata, questo sì, e ha avuto il monopolio dei riflettori. Giuliano Pisapia ha inviato lì il «sindaco d'agosto», il suo delegato Cristina Tajani, a portare un saluto in arabo. Ma altre 6mila persone si sono riunite fra via Padova e il Palalido. E molte altre ancora in altre sedi: «I turchi, il centro islamico, il Coreis, i sufi di Mandel - ricorda Asfa - ma quelli dell'Arena hanno fatto credere di rappresentare tutta la comunità. La pubblicità è andata in questo senso. Ma noi, per esempio, non siamo rappresentati da Shaari (il direttore del centro di viale Jenner, ndr) o da Piccardo (il portavoce del Caim, ndr). Noi ci rappresentiamo da soli». Avrebbe avuto un impatto simbolico enorme - riflette Asfa - se il Comune avesse mandato i suoi rappresentanti in via Padova: «Sarebbe stato un segnale importantissimo per i fedeli milanesi. Noi siamo fra i fondatori del Forum interreligioso, abbiamo sempre avuto una linea di dialogo con la chiesa, le istituzioni, le altre religioni. L'anno scorso il vicesindaco ha portato il suo saluto in via Padova, ora c'è stato un cambiamento. Anche la Chiesa, se manda qualcuno lì e non da noi...». In passato, forse, i rapporti con il Comune erano ancor più solidi. E non si tratta solo di visite di cortesia: «La nostra preghiera del venerdì da poco è stata mandata via dal Ciak senza preavviso. Da tre mesi 1.200 persone aspettano una soluzione. L'abbiamo sollecitata ma non arriva. Quando la passata giunta ci trasferì da via Iseo, il venerdì successivo eravamo alla Scarioni».
Anche il percorso intrapreso dal Comune col Caim non lo convince: «Quali sono le regole e i criteri? Per ora sento solo notizie. Parlano e basta. Noi non siamo l'ultima associazione arrivata in città. Siamo migliaia, siamo radicati nel quartiere». La preoccupazione di Asfa è ben precisa: «Ho sentito dire che nel processo di legalizzazione delle sedi via Padova non c'è. Non ho avuto notizie dirette ma dico subito che se chiude questa sede ne serve una più grande, e sempre in via Padova. Siamo 27mila musulmani in questa zona.

Se ci chiudono non escludo una primavera araba in via Padova». Di che tipo? «Manifestazioni pacifiche. Ma io non posso controllare tutti. C'è anche qualche testa calda». «Se vogliono interlocutori seri - conclude - sanno dove bussare».

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