«Muoio senza sapere chi mi ha ferito»

«Muoio senza sapere chi mi ha ferito»

di Edoardo Austoni

Signori della Corte: avevo chiesto di attendere che le condizioni di salute mi permettessero di presenziare al processo d'appello per affermare di persona la mia innocenza.
Purtroppo le mie condizioni di salute, anziché migliorare, sono peggiorate e i medici che mi tengono qui ricoverato mi dicono che non sarà in grado di compiere questo ultimo atto.
Chiedo quindi ai miei avvocati di darmi voce.
La malattia che mi ha colpito è ad un punto di non ritorno e avrò giustizia incompiuta orfana della verità sulla tragedia della mia vita.
Oggi posso affermare di essere in procinto di divenire non più soggetto alle leggi della società ma solo a quelle ineludibili della patologia medica.
I reati attribuitimi sono ancorati a testimonianze distorte e deviate che hanno invertito il mio rigore umano e professionale in arroganza prevaricatrice.
Tali testimonianze, tutte provenienti da pazienti sino a quel momento riconoscenti per averli curati con scienza e coscienza e che mai avevano auto il solo pensiero di denunciare alla autorità giudiziaria alcunché circa il mio operato, sono state iscritte in un contesto e alla luce di una descritta personalità che non mi appartiene e che nessuno sino ad allora aveva anche potuto immaginare.
I pazienti che hanno reso quelle testimonianze si sono trovati a dover riferire non sulla riconoscenza da loro manifestata nei confronti da chi li aveva curati, bensì a rispondere alle sollecitazioni di ricerca di qualcosa che desse motivo e giustificazione ai dieci colpi di pistola sparati a bruciapelo.
Ne è derivata una distorsione di metodo: se ero stato colpito qualche ragione ci doveva pur essere, e questa non poteva che risiedere nel mio operato nei confronti dei pazienti. Da qui la filosofia dell'indagine, anomala ed unidirezionale che ha di fatto archiviato la matrice di quell'attentato appena preceduto dall'aver preteso, quale componente della commissione del concorso presso l'università di Messina, l'applicazione della legge dello Stato e non quella delle «cose loro». L'accanimento accusatorio nei miei confronti n questo contesto deviato e viziato, ha cercato anche di farmi eliminare, immediatamente e senza giudizio, dall'Ordine dei medici di Milano.
Sono rimasto al mio posto ed in questi anni ho continuato ad operare, nonostante il mio calvario giudiziario, presso le strutture ospedaliere ed universitarie.
A quell'attentatore ed a quel accanimento giudiziario si sono contrapposti il mio operato di medico e, non solo e soprattutto la riconoscenza dei pazienti che ho curato, ma anche i riconoscimenti professionali a carattere internazionale che sono andati ad aggiungersi, quale sigillo, a quanto ho costruito in una vita.
Lascio in eredità il successo didattico scientifico del mio “Atlante europeo di chirurgia ricostruttiva genitale” già tradotto in molte lingue e sottoscritto da venti coautori fra i più esperti al modo, redatto in questi miei i ultimi anni di sofferenza, coautori che non hanno avuto certo timore a porre il proprio nome vicino al mio.


Questa è l'eredità più preziosa che lascio a mia moglie ed ai miei figli: quella di essere stato dedito ai miei pazienti ed alla scienza medica anche in questi sei anni di calvario che vanno ad aggiungersi, senza soluzione di continuità, agli anni precedenti all'esplosione di quei dieci colpi di pistola.

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