Il Museo di fotografia cerca una casa a Milano

Il Museo di fotografia cerca una casa a Milano

Un museo dimenticato. Perso nelle nebbie dell'hinterland e nei meandri della memoria dei lombardi. Eppure per il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo si sono mossi fotografi come Gianni Berengo Gardin e Francesco Radino, Alessandra Spranzi, Paola de Pietri e Luigi Gariglio, direttori come Marina Pugliese (Museo del Novecento di Milano) e Franziska Nori (Centro di cultura contemporanea Strozzina di Firenze), e altri 6000 e passa nomi. Forse non tutti sanno che a Villa Ghirlanda è custodito un patrimonio di 2 milioni di immagini con 28 fondi fotografici - tra cui il patrimonio di immagini della regione Lombardia - e le opere di oltre 600 importanti autori italiani e stranieri, oltre una biblioteca di 20mila tra volumi e riviste.
Bene, il MuFoCo l'unico del genere in Italia, è ridotto «alla sussistenza». Un'eccellenza assoluta che paga la sua collocazione periferica e la sede molto ristretta. Da Villa Ghirlanda è partito un appello al Ministero per i Beni culturali perché diventi «museo nazionale, essendo l'unica istituzione italiana titolata a ricevere questo riconoscimento previsto dalla legislazione vigente. Un'istituzione così importante necessita di una sede espositiva più ampia e più facilmente raggiungibile dal pubblico, situata a Milano, oggi del tutto priva di uno spazio interamente dedicato alla fotografia». È notizia di un mese fa che lo Spazio Forma, istituzione però privata, a gennaio sarà costretta a chiudere i battenti.
«Siamo stati un avamposto militare per dieci anni - scherza la direttrice generale del MuFoCo, Gabriella Guerci -: quando nacque il progetto della Provincia, alla fine degli anni Novanta, di dislocare le eccellenze culturali nella cerchia della città metropolitana, non c'erano nemmeno le infrastrutture per raggiungere il museo, relegato in un'ala di Villa Ghirlanda. E Cinisello non era pronta. Noi abbiamo accolto la sfida e cercato in tutti i modi, a partire dalla scelta di non far pagare il biglietto, di “guadagnare terreno”. Così il progetto di ampliamento ha avuto una lunga gestazione. Tutt'ora paghiamo lo scotto della collocazione e di una sede molto piccola». Paradossalmente se il museo avesse un'architettura importante, anche se periferica, catalizzerebbe l'attenzione di visitatori, come dimostra il museo di Rivoli, che non è a Torino.
Negli ultimi tre anni i contributi dei soci fondatori, Provincia di Milano e Comune di Cinisello Balsamo, si sono ridotti a meno del 30%. «Per poter portare avanti l'attività di conservazione, manutenzione, catalogazione e continuare ad assicurare l'immensa collezione di immagini custodita, viene speso tutto il budget, circa 350mila euro - spiega Gabriella Guerci -.

Non solo, abbiamo ereditato e accolto materiale in condizioni disastrose che abbiamo restaurato, catalogato e studiato, abbiamo ricevuto fondi e donazioni importantissimi, come tutto l'archivio dell'agenzia Grazia Neri o il patrimonio di immagini della Regione Lombardia, senza alcun contributo economico». Risultato, il museo ha ridotto il numero delle mostre, finanziate per altro da sponsor, sono state annullate le attività e ridotti gli orari di apertura. «Ma così non si può più andare avanti».

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