di Luca Doninelli
Sarà perché mancano i soldi. Sarà perché la crisi continua e, più che migliorare, peggiora. Sarà per le tredicesime che non arrivano o servono per saldare i debiti. Sarà perché l'erosione dei nostri risparmi procede inesorabile. Sarà per l'anticipo Irpef, sarà per il conguaglio, sarà per l'Imu, sarà per le spese condominiali, sarà per il freddo intenso, sarà perché ci siamo rotti dello stress da festeggiamenti.
Sarà perché tanti acquisti si fanno ormai online. Sarà perché i regali ambiti sono virtuali (abbonamenti Premium o Sky, musica e cinema da scaricare), sarà perché c'è poco tempo, e qualcuno pensa già che dovrà lavorare anche il 25 di dicembre.
Sarà per tutte queste cose messe insieme, ma è un fatto che il Natale, quest'anno, appare poco sentito, qui a Milano. E, se a Milano è così, non c'è da pensare che altrove, almeno in Italia, le cose possano andare molto diversamente. Difficile immaginare che a Roma o a Firenze la gente si accalchi per accaparrarsi uno dei classici oggetti del desiderio. Del resto, già da diversi anni il numero degli oggetti del desiderio si è ridotto di parecchio. Qui sta il problema, e mi spiego. Da almeno trent'anni i preti ci ricordano che il Natale serve a ricordare al mondo che Dio si è fatto uomo, cioè che l'origine e lo scopo di tutto ciò che esiste nell'universo ha assunto il volto di un fragile bambino, nato in una famiglia povera. L'impianto di riscaldamento consisteva nell'alito non profumato di un bue e di un asinello, e il primo letto del Re dei Re fu una mangiatoia.
Per almeno trent'anni le navate delle chiese hanno risuonato senza sosta di ammonimenti, che però sono serviti a ben poco. La lotta al consumismo è stata una battaglia persa in partenza. Per un numero sempre crescente di persone, Gesù Bambino si riduceva a un personaggio del presepe, a una fetta di panettone, a un frettoloso scambio di auguri tra i genitori della scuola frequentata dal figlioletto o in casa della zia Pina, notoriamente bigotta ma con qualche investimento in obbligazioni.
Bisognava correre a comprare. Anche gli amori illegittimi volevano un regalo, un braccialettino, anche soltanto un libro, insomma un pensiero bello e buono.
Pensavamo che la moltiplicazione delle possibilità comportasse una moltiplicazione del desiderio e degli oggetti del desiderio, invece - ben prima della crisi - abbiamo dovuto constatare che le cose non stavano così. Prima anche un'amante, per non parlare di un motoscafo, era uno status-symbol, poi è stata tutta una storia di iPhone, iPad per i più grandi e iPod per i ragazzi. O poco altro. Come se, ben prima dei conti correnti, il nostro desiderio avesse cominciato a consumarsi, a restringersi.
Dobbiamo domandarci cos'è che desideriamo veramente. Per quanto mi riguarda, la risposta è quasi banale: io desidero una vita bella, felice, piena di senso, io desidero che il cielo della mia vita sia sgombro di nubi. Ma le nubi ci sono, e gli anni che passano ne addensano sempre di nuove. Gesù Cristo non toglie le nuvole, ma ci aiuta a credere che le nuvole non prevarranno sul nostro desiderio di essere felici.
Noi abbiamo pensato, invece, che la felicità stesse nei regali stessi, e che la promessa fosse tutta nell'atto di scartare il pacchetto che li conteneva. Così il nostro desiderio si è affievolito, banalizzato, abbiamo cominciato tutti a desiderare le stesse cose.
Il mio consiglio laico è quello di non dissipare almeno il poco tempo libero che ci rimane.
Se non volete andare a messa, visitate almeno i nostri musei, le nostre chiese così piene di sorprese, la nuova piazza di Porta Nuova. Fate due passi con chi amate alla scoperta di Milano, questa città alla quale ci siamo abituati, e ricominciate a guardarla come si guarda un dono.
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