Non è mai stata trovata alcuna traccia di Giacomo Pietro Barbetta. Così come del suo zaino azzurro, del marsupio nero, della patente, della carta d'identità e delle chiavi della Passat station wagon blu che ha abbandonato, regolarmente chiusa e parcheggiata, al rifugio «Madonna delle nevi» a Mezzoldo, nell'alta Val Brembana. E lì, infatti, è stata rinvenuta il 10 gennaio 2012. Così, attaccati a questi oggetti scomparsi come naufraghi a un relitto, i suoi cari non possono smettere di sperare che Giacomo sia ancora vivo. Lontano. Decisissimo a non tornare. Ma vivo e in salute.
Barbetta è sparito poco più di un anno fa, il 27 dicembre 2011, dopo aver trascorso un tranquillo Natale con la moglie Patrizia e i due figli, Luca e Federico, nella sua abitazione di Albano Sant'Alessandro, a una decina di chilometri da Bergamo. Aveva 53 anni, faceva il muratore e quella mattina è uscito di casa come se dovesse andare al lavoro, poco prima delle 6. Da quel momento, però, nessuno l'ha più visto. Il suo datore di lavoro, titolare di un'impresa edile, lo aspettava a Longuelo, un quartiere di Bergamo, per raggiungere gli altri operai a Milano. Così, quando vede che è in ritardo, il datore di lavoro lo chiama sul cellulare. Il telefono suona, ma Barbetta non risponde. Poi l'apparecchio diventa irraggiungibile. E da allora lo resterà per sempre.
Luca Barbetta, il figlio maggiore di Giacomo, ora ha 27 anni e continua la sua vita di tutti i giorni. Fa il panettiere in un'industria alimentare di Calcinate. E abita con la madre Patrizia, una 49enne che prima era casalinga ma dalla sparizione del marito si è rimessa a lavorare perché la vita costa. Con loro c'è anche Federico, 19 anni, studente universitario di agraria: a pagargli gli studi, visto che il ragazzo lo merita, ci pensa una zia del padre.
Insomma, nella famiglia Barbetta le cose vanno avanti ugualmente, la superficie sembra intatta. Le domande senza risposta, gli umori, la preoccupazione sempre viva, però, hanno cambiato Patrizia, Luca e Federico per sempre.
«A un anno dalla sua sparizione, lo scorso 27 dicembre, sono uscito, come aveva fatto mio padre 12 mesi prima, alle 5.45. E poi sono andato in giro, tra Albano e Bergamo, a cercarlo - spiega Luca che su Facebook ha creato un profilo dedicato al suo papà -. Ho pensato che se era rimasto vittima di un'amnesia a lungo termine, magari, il Natale e i giorni successivi gli avrebbero rammentato qualcosa. Ad esempio l'albero scintillante, il grande presepe...Li facevamo ogni anno, tutti insieme, sul balcone di casa: mio padre ci teneva tantissimo. E poi il suo orto, il suo hobby preferito: ora se ne occupa Federico nel tempo libero. Papà era un tipo metodico, abitudinario, tranquillo. E poi non faceva nulla senza di noi, senza la famiglia. Insomma: lontano dalla sua vita di tutti i giorni non ce lo vedo proprio».
Quando la macchina venne ritrovata in Val Brembana (con il pieno di benzina) i carabinieri di Bergamo e il Soccorso alpino, guidato dal tenace Gianni Gamba, cercarono Barbetta dovunque, a tappe alterne, per almeno un mesetto. Circa una cinquantina di uomini si sparsero nei boschi circostanti il rifugio di Mezzoldo, controllando bivacchi in alta montagna fino al Passo San Marco e servendosi di 11 unità cinofile e di un elicottero. «Gamba tornò in quei posti con noi anche quando la neve scomparve, a febbraio, ma segni del passaggio di mio padre non ne trovammo - spiega Luca -. Con i nostri genitori, durante i fine settimana, andavamo spesso in montagna, ma quel rifugio dove fu ritrovata la sua vettura, ci erano estranei. E sono sicuro che anche per papà non significavano nulla. E poi lui era un fifone: non si sarebbe mai tolto la vita magari gettandosi in un precipizio».
Giacomo Barbetta nutriva qualche preoccupazione? «Apparentemente no - spiega il fratello dello scomparso, Graziano, che ha 54 anni e vive con la sua famiglia nella stessa abitazione di Giacomo, ma su un'altro piano - Mio fratello era un uomo buono, che rideva e scherzava con tutti. In realtà, però, era un ipersensibile, rimuginava molto sulle cose e, al tempo stesso, era particolarmente riservato. Da giovane era stato spesso depresso. E da quando alcuni parenti avevano preteso una parte della nostra eredità, lui, come me, aveva ceduto e pagato. Ma ci aveva sofferto. E non per il denaro, ma perché si era sentito trattato male senza ragione».
«Un giorno, in giardino, una pietra rimbalzò nel taglierba che mio padre stava usando rompendo un vetro dei vicini - conclude Luca -. Una scemenza. Che lui non aveva commentato. Ma sono sicuro che, per la sua sensibilità, era stata una piccola tragedia. I soldi non c'entrano nulla, pagare quel danno era il minimo e poi non avevamo problemi economici. Lui, però, se la prendeva molto, troppo, per ogni inconveniente.
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