Stavolta il cinese non era «in coma» - come nel film comico di qualche anno fa con Carlo Verdone e Beppe Fiorello - bensì decisamente molto sveglio. Al punto che con una sola testimonianza precisa e puntuale e un riconoscimento fotografico ha mandato all'aria un regolamento di conti camuffato da rapina e architettato da quelli che vengono considerati niente meno che gli eredi di pezzi da novanta come i Flachi e le storiche famiglie della 'ndrangheta, da sempre in lotta per aggiudicarsi il mercato della cocaina in Lombardia tra i «feudi» di Novate Milanese, Bruzzano, la Comasina e Quarto Oggiaro.
Il nostro uomo dagli occhi a mandorla è titolare di una società di forniture non alimentari con capannoni attigui all'officina meccanica «New Car» (ex «Ambrocar Design srl») di via Boito 13, a Novate Milanese, considerata ormai dalle forze dell'ordine un ritrovo (ma tra gli inquirenti c'è chi parla di una vera e propria «base logistica» delle cosche malavitose) di pregiudicati legati a filo doppio alla criminalità organizzata. I militari della seconda sezione del nucleo investigativo, guidati dal maggiore Cataldo Pantaleo, ieri infatti hanno arrestato 9 uomini - sei italiani, un keniota, un rumeno e un peruviano - ritenuti responsabili di rapina a mano armata, lesioni personali, sequestro di persona e porto abusivo di armi. Il 12 marzo scorso, intorno alle 11.30 - mascherati con cappellini e baveri alzati per eludere le telecamere di sorveglianza - avevano fatto irruzione nell'autofficina armati di pistola e fucile, aggredendo il titolare, Massimiliano «Massimo» T., 43enne pregiudicato per reati di droga, sequestrato all'interno della «New Car». L'uomo era riuscito a divincolarsi e a fuggire pochi istanti prima di essere caricato con la forza su un'auto e dopo che uno dei malviventi, armato di flessibile, aveva tentato di tagliargli un braccio per strappargli il borsello che teneva al collo.
In realtà quel giorno, nonostante i vari camuffamenti, tutti avevano riconosciuto i «rapinatori». Tuttavia le vittime - Massimo T. e gli operai che erano con lui al momento dell'irruzione dei malviventi - una volta sentite a verbale dai carabinieri, per paura di ritorsioni hanno sempre negato di aver identificato gli aggressori e, in particolare, il capo di quella che i militari hanno definito «spedizione punitiva», ovvero l'ex socio del titolare, Rocco Ambrosino, 46 anni. Nel settembre scorso, dopo un dissidio per dei crediti legati allo spaccio di stupefacenti e che era convinto di vantare da Massimo T. (quest'ultimo afferma invece l'esatto opposto), Ambrosino aveva abbandonato il socio per andarsene in Puglia. Una decisione momentanea la sua. Il giorno dell'agguato infatti il pregiudicato era in realtà tornato a Novate per riprendersi con la forza quelli che riteneva i «suoi» soldi. «Rocco era il titolare della Ambrocar fino a dieci mesi fa - ha spiegato il cinese ai carabinieri - così quando l'ho visto piombare nel mio capannone per inseguire due degli operai dell'officina rifugiatisi da me durante l'agguato, l'ho riconosciuto subito».
Dell'autofficina di Novate come importante ritrovo di malavitosi ha parlato alla squadra mobile di Milano e ai magistrati della Dda anche il pentito Laurence Rossi, in relazione all'inchiesta che l'11 luglio ha portato in carcere 23 persone accusate di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico.
Tra loro c'è anche un poliziotto che ha lavorato a lungo al commissariato Comasina: in cambio di informazioni ai criminali che ruotavano intorno allo spaccio di stupefacenti, incassava mille euro al mese, partite di cocaina e viaggi.
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