Non si fa in tempo a parlare di bilinguismo nella Chinatown milanese, non si fa in tempo a rimarcare il saluto in arabo dell'assessore Cristina Tajani, sindaca d'agosto delegata dal titolare - Giuliano Pisapia - a portare al Ramadan dell'Arena l'omaggio dell'amministrazione comunale (orgogliosamente laica e attenta ai diritti, sì, ma solo quando si tratta di parlare con il Papa). Non si fa in tempo a ragionare su tutto questo ed ecco che sulle strade di Milano si manifesta quello che potrebbe essere interpretato come un altro «segno»: un (presunto?) strafalcione in milanese nei manifesti di MiTo.
Bisogna dire che «la matita» che sottolinea l'errore, più che blu, è quella verde del Carroccio, che ora vuol mandare il sindaco a «corsi gratuiti di dialetto». Cosa è successo? La campagna promozionale del festival internazionale MiTo, organizzato dal Comune di Milano con quello di Torino, sarebbe incorsa in un errore, considerato dalla Lega evidente, nei cartelli pubblicitari in milanese, affissi nelle vie di Milano in vista dell'apertura, a settembre, della bella rassegna a cavallo fra le due città. Al centro della disputa linguistico-politica lo slogan «con Brahms, Musorgskij e Ravel al Palasport tutt cos l'è bel'». Secondo il Carroccio, al posto del termine corretto «tusscoss» (cioè «ogni cosa») viene usato un «neologismo» che ricorda altri dialetti piuttosto che quello milanese. «MiTo» invece esclude che ci sia un errore: «Ci fa piacere - si legge nella nota del festival - che il leghista Alessandro Morelli voglia darci una mano per far crescere l'amore per il dialetto milanese. E ogni occasione è buona per riaprire una pagina del Porta e fare confronti con le grafie. Lui, che aveva una certa pratica, in due righe usava una volta "tutt" e una volta "tucc"».
Era stato infatti il consigliere leghista Alessandro Morelli ad attaccare: «Va bene che la Lega ha ottenuto i tagli a MiTo nel bilancio - aveva commentato ironicamente - ma se i minori introiti non permettono neppure di avere un consulente di milanese adeguato ci ripensiamo». «Apprezziamo il tentativo - ha aggiunto - ma se imparassero il milanese sarebbe meglio». «Se i manifesti fossero in arabo o in cinese - ha proseguito Morelli - non sarebbero certo stati sbagliati. Oltre a rom e scuole arabe forse sarebbe meglio sostenere anche il dialetto milanese per non perdere le radici della nostra cultura». Difficile prevedere come sarebbero stati, dal punto di vista grammaticale, i manifesti di MiTo scritti in cinese o in arabo, ma di certo non risulta che siano arrivate rimostranze per errori o imprecisioni per quei 46 cartelli di cui abbiamo parlato ieri: quelli apparsi a Sarpi con il simbolo del Comune (ottenuto in virtù del patrocinio dei due Consigli di zona interessati) e di Amsa, l'azienda comunale di servizi ambientali, che ha condiviso e sostenuto il progetto. Quarantasei manifesti rigorosamente ripartiti fra il cinese e l'italiano, una perfetta par condicio, per promuovere un'ottima iniziativa di adozione del verde pubblico - e in particolare delle 46 aiuole nate come dissuasori dopo il restyling della via, e oggi candidate a ospitare specie vegetali migliori del pitosforo che il Comune aveva piazzato.
C'è un legame diretto fra la scelta di parlare arabo alla festa dei centri islamici e questo piccolo presunto incidente? C'è un nesso fra lo strafalcione in dialetto e il bilinguismo di Chinatown (dove sembra che si sia preso atto dell'esistenza di un'enclave ormai sostanzialmente irriducibile e irrecuperabile)? Tre indizi faranno una prova? Chissà. Per i leghisti sicuramente sì.
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