«Forte perché libero», recita lo slogan elettorale di Umberto Ambrosoli. E l'avvocato ci teneva molto e ci ha investito molto, su questo profilo di autonomia dalla politica. Chiedeva un passo indietro ai partiti e lo faceva solo poche settimane fa. Ora parla della «coalizione», e a nome della «coalizione». Avvertiva i compagni che lui non aveva «bisogno di tutori». Erano i giorni della sua tormentata scelta di candidarsi. Ora si avventura in bizantinismi da far invidia a un doroteo.
«Civico». Questo era il suo tormentone, fino a poche settimane fa. Un po' perché uomo di partito in effetti non lo era mai stato, un po' per marcare la distanza con un mondo politico che non gode di larghissime simpatie, e infine perché politicamente - in Lombardia - la sinistra era e resta minoranza, come confermano tutti i sondaggi. Per questo l'avvocato aveva imbastito una questione - poco comprensibile ai più - sulla natura civica del suo progetto. E non a caso le primarie che ha affrontato e vinto erano definite «primarie civiche». E civico il «patto» che lui guida, o dovrebbe guidare.
Dopo poche settimane di campagna elettorale, infatti, si fatica a capire dove sia finita, questa autonomia dai partiti di Ambrosoli. Sono molte istruttive le sue dichiarazioni sulla vicenda dell'accordo - tentato e a quanto pare mancato - con i Radicali.
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